Ogni gravidanza fa a sé

20 settembre 2002
Aggiornamenti e focus

Ogni gravidanza fa a sé



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Una gestante di 37 anni e mezzo si presenta al primo controllo ecografico dopo fecondazione assistita e casualmente legge su di un foglietto affisso a una parete che tali procedure sono espletate entro il trentottesimo anno delle assistite, con la disperante sensazione di ultima spiaggia che ne consegue.
Una giovane donna il cui contratto professionale prevede che non abbia figli incappa in una gravidanza inattesa.
La madre di un figlio congenitamente ammalato affronta una nuova gravidanza piena di speranze e paure.
Una donna che non concepisce la propria vita se non come madre scopre di attendere un figlio.
Una donna intraprende la prima gravidanza come un viaggio, avendo predisposto tempi, luoghi, compagni e itinerari senza concedere spazio agli imprevisti.

Per quanto l'attesa di un figlio sia un fatto fisiologico e, quindi, ogni donna dovrebbe possedere gli strumenti fisici e psichici adatti a portarla a termine senza problemi, l'immagine della gravidanza come periodo idilliaco nel quale la donna riguadagna un rapporto con se stessa e costruisce il rapporto con il nascituro è quanto meno di riscontro infrequente.
E comunque ogni gravidanza è una storia a se stante come ogni donna è un individuo a se stante, ognuna con le proprie vicende personali, le proprie fantasie, le proprie aspettative.
Il divario tra la quotidianità e le attese e tra queste e la risposta dell'ambiente può costituire motivo di disagio, andando a determinare una sorta di effetto collaterale della gravidanza e, senza chiamare in causa la slatentizzazione di disagi psichiatrici franchi, a costituire un periodo di malessere.

Per esempio non è facile affermare, o riaffermare, il proprio ruolo più o meno faticosamente acquisito nel momento in cui la gravidanza irrompe nella vita di una donna. E' vero che essa è sempre più frequentemente frutto di una scelta precisa (il viaggio pianificato di cui si è parlato poc'anzi), ma gli imprevisti, gli eventi di cui si diviene consapevoli in corso d'opera sono comunque numerosi e costituiscono il motore per comportamenti talvolta forzati.
E' fondamentale, quindi, che la gravidanza non si trovi in conflitto con il ruolo che la donna si è disegnata per sé mettendola in condizione di riaffermare di fronte a ogni decisione la propria autonomia rispetto alla nuova condizione che sta vivendo. Come fondamentale è l'opposto, cioè che l'attesa di un figlio non cancelli ciò che la donna ha costruito per sé relegandola al ruolo di futura madre. Se poi questo è ciò che desidera, consapevolmente, essere madre, è importante che non vi siano tensioni con l'ambiente nel quale vive, poiché non si trovi nella scomoda e dolorosa posizione di porre in secondo piano un'esperienza tanto significativa.

Gli altri, anche coloro che stanno più vicino a una donna in attesa, hanno imparato ad apprezzare e a riconoscere in lei caratteristiche che spesso con malessere vedono stemperarsi in nuovi comportamenti. Il sentimento di solitudine di cui soffrono certe future madri, la sensazione di non essere comprese, di non essere apprezzate, e che genera malesseri profondi, può non dipendere dunque dalla sola particolare vulnerabilità che caratterizza questa fase della vita. E gli atteggiamenti di dipendenza che possono insorgere per reazioni finiscono con il sortire l'effetto opposto a quello desiderato, privando la gestante dei supporti emotivi essenziali. Ma altre donne hanno diversi vissuti, perché alcune gestanti soffrono invece dell'eccessiva attenzione ad esse riservata vivendo come un'ingerenza e con fastidio gli interventi esterni e l'altrui tentativo di rispondere a esigenze mutevoli, che esse stesse non comprendono ancora appieno. La gravidanza è in primo luogo un'esperienza personale di cui la donna diventerà pienamente consapevole solo poco a poco, dovendo fare i conti con i necessari processi di adattamento, non sempre indolori.
Ad aggravare la situazione può contribuire il profondo cambiamento fisico determinato dalla gravidanza, cui alcune donne non sono completamente preparate. La proverbiale bellezza della gestante (fisica e non solo) è spesso messa in dubbio dalle difficoltà quotidiane che aumentano giorno per giorno nel corso dei mesi contaminando la serenità necessaria ad affrontare le più complesse ultime fasi.

Serenità: parola magica; condizione indispensabile per plasmare un rapporto equilibrato con l'ospite dentro di sé; ostaggio dell'importanza che quella particolare gravidanza ha per quella specifica donna in quel particolare momento della sua vita, del significato che le viene attribuito.
E' naturale che una donna con precedenti esperienze negative affronti una nuova gravidanza con apprensione; è naturale che sia più attenta e più vulnerabile a qualsiasi evento che discosti il suo stato dalla norma. Il contatto con altre future madri può essere salutare, poiché affrontando il problema in gruppo è più facile coglierne la reale entità. L'apprensione è forse lo scotto da pagare per i progressi fatti in ambito neonatale: ci sono madri anziane che guardano con sospetto ai mille esami cui è sottoposta una gestante oggigiorno, affermando che, dal canto loro, non avrebbero sopportato tutta quella tensione, tutta quell'ansia dell'attesa.
Infine, attendere un figlio significa attendere un figlio. Qualsiasi altro significato che venga attribuito a questo evento (realizzazione personale, risoluzione di un problema di coppia, per esempio) è mal attribuito e rischia di minarne il buon esito, influenzando il rapporto che la madre avrà con il nascituro.
Ma questa è un'altra storia.

Diego Inghilleri
Psichiatra



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