Rischi protratti per i pretermine

02 aprile 2008
Aggiornamenti e focus

Rischi protratti per i pretermine



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Le nascite pretermine, anticipate cioè rispetto alla soglia delle 37 settimane, sono in continuo aumento nei paesi sviluppati, e se la buona notizia è che sono molto migliorate le possibilità di sopravivenza e di cura, la cattiva è che sono comunque la principale causa di mortalità infantile dopo le alterazioni congenite. Il rischio poi non è solo perinatale ma è presente ancora nel corso dell'infanzia, come evidenziano i dati di una nuova ricerca, condotta in Norvegia, pubblicata su JAMA. La stessa mostra anche una conseguenza di comprensione meno immediata, cioè minori livelli riproduttivi negli adulti che erano nati prematuramente. La mortalità, come le sequele severe, è decisamente più pesante nel caso dei nati molto pretermine, partendo come nello studio dalle 22 settimane gestazionali. D'altra parte un'altra recente ricerca, pubblicata su Lancet, aveva quantificato i rischi connessi con il venire al mondo veramente troppo presto: aspetti oggettivi che dovrebbero entrare per conoscenza anche nei dibattiti sulla rianimazione dei nati molto prematuri o di feti sopravvissuti all'interruzione di gravidanza, a fianco delle valutazioni soggettive etiche e religiose e poi economico-sanitarie.

Problema maggiore per i maschi


Quella norvegese è un'indagine retrospettiva relativa a più di un milione di nati nel periodo 1967-1988, di età gestazionale dalle 22 settimane in poi e peso alla nascita di almeno 500 grammi. I partecipanti sono stati osservati fino al 2002 rispetto a mortalità perinatale, infantile e adolescenziale, con un sottogruppo valutato fino al 2004 per livelli educazionali e stato riproduttivo. Punti di forza della ricerca, rispetto a diverse altre, sono l'ampiezza del campione considerato e la durata dell'osservazione, oltre al riferimento per la sopravvivenza più alle settimane gestazionali che peso alla nascita. Nell'intera coorte i nati prematuramente raggiungevano il 5,2%, con una quota maggiore per i maschi (5,6) rispetto alle femmine (4,7). Per i nati molto pretermine, tra 22 e 32 settimane, è risultato un rischio di mortalità fino ai cinque anni d'età più alto che per i nati a termine, cioè tra 37 e 42 settimane; la mortalità più elevata era alla nascita e con la gestazione più breve, con il 53% nel caso di 22-27 settimane contro lo 0,38% della nascita a termine. Una mortalità più alta, anche se in misura minore, rimaneva poi nel resto dell'infanzia per tutte le età gestazionali fino a 32 settimane nei maschi, e fino a 28 per le femmine. Le cause della differenza di mortalità tra i sessi a livello di infanzia non sono chiare, anche se nei maschi si registrano più anomalie congenite e queste a loro volta sono più frequenti nei prematuri. Andando poi a guardare a distanza la probabilità di riprodursi si è visto che era minore negli uomini e nelle donne che erano nati dopo sole 22-32 settimane, inoltre le donne nate pretermine presentavano un maggior rischio rispetto a quelle nate a termine di avere a loro volta figli nati in anticipo, cosa non verificata per gli uomini. Va detto che gli adulti ex prematuri di entrambi i sessi avevano anche una maggiore probabilità di essere meno istruiti, in accordo con le alterazioni cognitive registrate nei bambini quanto più nati pretermine, fatto che potrebbe legarsi a minori capacità di socializzare e trovare un partner.

Chance minime per età molto basse


Intanto le nascite pretermine aumentano, sia per possibili fattori quali la rottura precoce delle membrane associata a sua volta a infezioni intrauterine, sia per fattori esterni come l'induzione anticipata del parto cesareo per problemi materni, feti multipli o altro. Lo studio su Lancet ha analizzato dati sui nati pretermine, molto pretermine ed estremamente pretermine di paesi dell'Europa occidentale e australiani, valutando mortalità e frequenza di sequele neurologiche, sensoriali, comportamentali, respiratorie e altre ancora. A seconda delle casistiche, la sopravvivenza entro i due anni per i nati di 26 settimane risulta per esempio generalmente superiore al 60% e in vari paesi all'80%, per quelli di 24 settimane scende in maggioranza sotto il 50% con alcuni paesi sotto il 20%; il calo è più marcato a 23 settimane e a 22 in metà dei paesi si arriva a 0 (il dato più alto è svedese, 12%). I tassi di disabilità, soprattutto paralisi cerebrale, problemi visivi e uditivi, deficit di sviluppo, di deambulazione, cognitivi, nella valutazione in genere a due anni variano dal 20 al 35%. E le conseguenze sulla salute e i comportamenti si prolungano all'età scolastica, all'adolescenza e persino nell'età adulta: a fronte del calo della mortalità, sottolineano gli autori, occorre sviluppare strategie perinatali per ridurre la morbilità sul lungo periodo, in aggiunta al monitoraggio rispetto a rischi come quelli cardiaci e metabolici più frequenti nei nati pretermine.

Elettra Vecchia



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