Giù di corda dopo il parto

06 febbraio 2009
Aggiornamenti e focus

Giù di corda dopo il parto



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Fino a pochi anni fa non se ne parlava nemmeno, quasi a negarla o a considerarla un tabù, poi la depressione post-partum è emersa come fenomeno reale e da non sottovalutare. E' infatti un problema che riguarderebbe circa una donna su otto nel primo anno dopo il parto, e che può avere conseguenze rilevanti per la madre, con ripercussioni anche per il figlio e per tutta la famiglia. Resta però sottostimato e sottotrattato, nonostante le evidenze sulla possibilità di curarlo efficacemente ed eventualmente prevenirlo. Aggiungono dimostrazioni in tal senso due studi pubblicati sul BMJ, relativi a due approcci non farmacologici, uno di counselling eseguito da operatori domiciliari per il trattamento, l'altro di supporto con contatti telefonici "da madre a madre". Anche se gli antidepressivi sono efficaci, si rileva infatti nell'editoriale, molte neo-mamme sono riluttanti ad assumere farmaci, specie se allattano, inoltre, pur nella diversità delle cause e della gravità dei sintomi, ci sono dati che indicano come interventi psicosociali e psicologici possano costituire un'alternativa al trattamento farmacologico.

Qualcuno con cui parlare


Il primo è detto "studio pragmatico" in medicina generale ed è relativo a quasi tremila donne inglesi che hanno ricevuto a casa tra sei e otto settimane dopo il parto "health visitor", cioè operatori sanitari formati sia per individuare sintomi di depressione sia per effettuare sedute cognitivo-comportamentali di un'ora alla settimana per otto settimane. C'era un gruppo controllo di donne e operatori che offrivano l'assistenza usuale. A sei mesi, il 12,4% delle donne nel gruppo d'intervento contro il 16,7% in quello controllo ha manifestato punteggi alti della scala di depressione post-nascita; il beneficio per le prime si è mantenuto per un anno dopo l'evento mentre non c'è stata differenza per le altre. Nonostante il confronto non fosse tra assistenza e nessuna assistenza, ma tra assistenza psicologica e usuale, notano gli autori, un vantaggio dunque c'è stato. Il secondo studio ha avuto invece carattere preventivo, nel senso che 700 donne canadesi nelle prime due settimane dopo il parto, individuate come ad alto rischio di depressione (screenate via web tra 21.000), sono state contattate periodicamente per telefono da altre donne volontarie che avevano avuto a loro volta depressione post-natale ed erano state curate: un approccio diretto, definito "da madre a madre". Le donne con questo supporto hanno mostrato a dodici settimane un rischio dimezzato di sviluppare depressione post-partum rispetto a donne controllo, c'è stato un trend positivo anche per l'ansia materna e oltre l'80% delle contattate ha espresso soddisfazione per il metodo e ha detto che lo avrebbe consigliato alle amiche. Riscontri che confermano quelli di altre ricerche, che hanno evidenziato come il rischio depressivo aumenti per le neo-mamme che non hanno persone con le quali confidarsi, o sono isolate socialmente, o non hanno supporti: significativamente, quelle depresse consiglierebbero ad altre neo-mamme per prima cosa di "trovare qualcuno con cui parlare".

Migliorare informazione e screening


Possibilità d'intervento, anche non farmacologico, dunque esistono: invece la depressione post-partum resta sottodiagnosticata e sottotrattata nella maggior parte delle donne, e questo per vari fattori, sottolinea l'editoriale. Intanto molte di esse non sanno di questa condizione; oppure la negano, minimizzano i sintomi, non ne parlano per paura di essere considerate psicologicamente instabili, non di grado di svolgere il loro compito, o che il figlio sia dato da accudire ad altri; altre conoscono il problema ma pensano che sia una reazione inevitabile, o che non ci siano rimedi. Le neo-madri e i loro famigliari andrebbero informati sulla depressione post-natale, non solo per "destigmatizzarla", ma anche per aiutarli a riconoscerla e a consultare il medico. Inoltre si deve tener conto dei modi di vita attuali e trovare soluzioni agevoli come per esempio quella del consulto telefonico: le indagini hanno mostrato che le possibilità di cura per gli operatori si riducono soprattutto se essi minimizzano i sintomi o propongono trattamenti costosi, o poco accessibili, o di lunga durata. Manca poi un'azione coordinata di screening della depressione materna da parte delle varie figure professionali coinvolte nella nascia, ostetriche, medici, infermiere, che dovrebbero attivarsi e interagire tra loro; occorrono servizi perinatali multidisciplinari sul territorio per consulenza, sostegno alla maternità, aiuto psicologico; vanno infine ben definiti i percorsi per ruoli e competenze. Superare le barriere al trattamento, attuare uno screening coordinato, assicurare un'assistenza appropriata sono le chiavi per contrastare il modo efficace la depressione post-partum.

Elettra Vecchia



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