Efficacia con qualche ombra

28 novembre 2003
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La rivoluzione terapeutica è cominciata nel 1996 con l'introduzione degli inibitori della proteasi e successivamente degli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa. È stato l'inizio dell'era della "highly active antiretroviral therapy" (HAART), cui ha fatto seguito una significativa riduzione di nuovi casi di AIDS, di infezioni opportunistiche e di decessi. E non è finita qui. Per la prima volta dall'inizio dell'epidemia si è iniziato a parlare di recupero del sistema immunitario e, addirittura, di eradicazione della malattia. Non è un caso che il cocktail di farmaci sia, oggi, lo standard terapeutico. Accanto agli indubbi successi, si manifestano sempre più gli aspetti problematici della terapia. Per cominciare l'eradicazione del virus non è ottenibile con i farmaci attualmente disponibili. Inoltre i farmaci utilizzati provocano effetti collaterali inattesi e non ancora compresi nella loro patogenesi, i più comuni dei quali si distinguono in precoci e a insorgenza tardiva.

Eventi avversi precoci


Cominciando dagli effetti sulla cute i pazienti in trattamento con HAART riferiscono secchezza della cute e delle mucose, in particolare delle labbra. In alcuni casi compaiono anche manifestazioni a carico degli annessi cutanei quali alopecia e perionissi (processo infiammatorio a carico delle unghie). I pazienti con infezione da HIV presentano reazioni di ipersensibilità cutanea a farmaci con frequenza aumentata rispetto alla popolazione generale. Reazioni avverse a carico dell'apparato gastroenterico sono altrettanto frequenti per questi pazienti. Si tratta in genere di sintomi, nausea, vomito e diarrea i più comuni, che insorgono nei primi giorni di trattamento, spesso regrediscono o si attenuano nelle settimane successive e difficilmente sono responsabili di sospensione della terapia. Molti antiretrovirali sono stati associati alla comparsa di epatite tossica, una tossicità che insorge più frequentemente entro il terzo mese di terapia. I pazienti con coinfezione da epatite sono più suscettibili alla comparsa di tossicità. A questo proposito un recente studio di Lancet ha evidenziato come la terapia antiretrovirale aumenti la sopravvivenza all'epatite C, un dato che controbilancia il rischio di epatotossicità.
Ma il catalogo non finisce qui. Per il trattamento con quasi tutti i farmaci antiretrovirali è descritta, infatti, la comparsa di dolori a livello muscolare, mentre segnalazioni più recenti parlano di insorgenza di osteoporosi. Effetti avversi a carico del rene sono piuttosto isolati e solo con alcuni farmaci, mentre sono di frequente riscontro sintomi a carico del sistema nervoso centrale, quali cefalea, vertigini e insonnia. Ma in genere si tratta di disturbi non fortemente invalidanti e temporanei.

Tossicità a lungo termine


Le patologie che compaiono dopo un periodo di terapia di alcune settimane, a volte di alcuni mesi, sono alterazioni che coinvolgono la distribuzione del tessuto adiposo, il metabolismo lipidico e glicidico. Sono state riportate per la prima volta dopo la commercializzazione degli inibitori della proteasi, ma non hanno associazione causa-effetto con questo gruppo di farmaci. Le alterazioni descritte vengono definite come sindrome lipodistrofica e contemplano alterazioni della distribuzione del tessuto adiposo, alterazioni metaboliche e rischio cardiovascolare. La distribuzione del tessuto adiposo viene alterata sia nel senso dell'accumulo sia della perdita. Quanto alle alterazioni metaboliche coinvolgono più frequentemente il metabolismo lipidico con ipertrigliceridemia anche molto elevata e ipercolesterolemia con bassi livelli di colesterolo HDL. Meno spesso è coinvolto il metabolismo glucidico. La sindrome lipodistrofica, nel suo complesso, è caratterizzata da alterazioni riconosciute come fattori di rischio di patologie cardiovascolari.

AIDS e mortalità cardiovascolare

Gli antiretrovirali, perciò, fanno male al cuore? Di questo si è occupato uno studio pubblicato su New England Journal of Medicine, che ha confermato le sempre più frequenti segnalazioni anedottiche sull'argomento. Lo studio ha arruolato 23000 pazienti circa in 11 coorti disseminate in Europa, Stati Uniti e Australia. Contemplando nell'analisi la durata cumulativa dell'esposizione ai farmaci gli autori hanno determinato che tra i quattro e i sei anni dall'inizio della terapia combinata, c'è stato un incremento nella percentuale di infarti del miocardio del 26% per anno di esposizione ai farmaci antiretrovirali. Due fattori saltano agli occhi. L'aumentata sopravvivenza dei pazienti sieropositivi e la preesistenza di altri fattori di rischio. I pazienti in molti casi sono, infatti, fumatori, diabetici, ipertesi, per non parlare dei livelli colesterolemici significativamente più alti. Su questi fattori, più che l'infezione in sé, la terapia antiretrovirale gioca un ruolo fondamentale, a conferma del ruolo dei farmaci sulla funzionalità endoteliale.
Come sottolinea l'editoriale del New England la terapia antiretrovirale, è, senza dubbio, uno dei "miracoli" della medicina moderna, ma necessita di ulteriori perfezionamenti per mitigare gli effetti tossici che potrebbero diminuire la qualità e la durata della sopravvivenza dei pazienti sieropositivi a lungo termine.

Marco Malagutti



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