16 febbraio 2007
Aggiornamenti e focus
Stagionale e tardiva
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Strano inverno, finora, senza neve e senza influenza. Mentre della neve non si sa ancora nulla, il picco dell’epidemia influenzale dovrebbe essere prossimo: questione di giorni. In effetti, esaminando i grafici della rete di sorveglianza epidemiologica Influnet, è dalla metà di gennaio che la curva dei casi ha preso a salire, e a metà febbraio aveva raggiunto un’incidenza di poco più di poco meno di sette casi ogni mille abitanti. Distinguendo per classi di età, il peggio è toccato a bambini e adolescenti (le fasce da 0 a 4 anni e da 5 a 14), tra i quali l’incidenza è di rispettivamente di 20 e 18 casi per mille. Ma salirà per tutti, fino a interessare il 5% della popolazione. Come è noto, il ceppo virale di quest’anno, battezzato Wisconsin, è ancora molto simile ai precedenti, quindi siamo di fronte alla consueta epidemia stagionale.
Il rischio di pandemia, cioè di diffusione inarrestabile del contagio, quella che miete vittime a milioni, si verifica quando il virus muta in misura rilevante, quindi non viene riconosciuto dal sistema immunitario. Per ora quindi, non si parla di pandemia, che ci sarà ma non oggi (ed è arduo dire quando).
Più interessante è invece il punto di vista con cui la questione è stata affrontata da Federanziani, che ha commissionato un’indagine demoscopica intitolata “Cittadino e vaccino” e ne ha tratto alcune considerazioni economiche. In Italia si vaccina il 18% della popolazione, cioè le categorie più fragili, anziani (66%) e bambini, ai quali l’immunizzazione è assicurata senza oneri dal Servizio sanitario. Tra il resto della popolazione, invece, la vaccinazione è praticamente sconosciuta. Eppure non è che anziani e bambini siano i soli per i quali la vaccinazione è raccomandata: ci sono le persone con malattie croniche che un’influenza potrebbe peggiorare(diabetici, cardiopatici), ci sono coloro che lavorano a contatto con il pubblico e che possono più facilmente contagiare ed essere contagiati: dai medici agli insegnanti, passando per impiegati nei “front office”, come dicono le persone al passo coi tempi e via discorrendo. C’è poi anche il legittimo interesse di ciascuno a non restare a letto.
Eppure, dice Federanziani, di questi solo il 23% si vaccina annualmente, il 13% lo fa saltuariamente e la larga maggioranza,il 64%, non si è mai vaccinato; “se si riuscisse a immunizzare i 23 milioni di lavoratori italiani, si spenderebbero 117 mln di euro (5 euro per dose), ma i risparmi reali sarebbero almeno di dieci-quindici volte superiori”, visto che ogni epidemia, in media, costa 3 miliardi di euro e comporta la perdita di 32 milioni di giornate di lavoro. Anche questi dati, ovviamente, sono un’approssimazione, visto che a posteriori, a meno di procedere a costose indagini sierologiche, è arduo dire se si sia trattato di influenza o di sindromi simil-influenzali.
Del resto, anche acquistato in farmacia, il vaccino costa attorno a 10-11 euro. Molto meno degli antivirali di cui si sente spesso parlare ma che, alla fine, nelle persone sane, e in caso di influenza “normale”, hanno l’effetto di ridurre di una giornata o giù di lì la durata dei sintomi. Farmaci che peraltro sono stati collocati in fascia C, quindi non prescrivibili dal medico a carico del Servizio sanitario, in quanto non offrono evidentemente un buon rapporto tra costo ed efficacia e non sono considerati un alternativa alla vaccinazione annuale. Ovviamente il discorso cambia se cambiano le situazioni: è evidente che qualora non fosse disponibile il vaccino, come nel caso di un eventuale nuovo ceppo influenzale, o si fosse di fronte a un paziente molto compromesso, l’uso dell’antivirale sarebbe inevitabile, come accaduto nei casi delle persone contagiate dal virus dell’aviaria.
Maurizio Imperiali
Il solito sospetto
Il rischio di pandemia, cioè di diffusione inarrestabile del contagio, quella che miete vittime a milioni, si verifica quando il virus muta in misura rilevante, quindi non viene riconosciuto dal sistema immunitario. Per ora quindi, non si parla di pandemia, che ci sarà ma non oggi (ed è arduo dire quando).
Più interessante è invece il punto di vista con cui la questione è stata affrontata da Federanziani, che ha commissionato un’indagine demoscopica intitolata “Cittadino e vaccino” e ne ha tratto alcune considerazioni economiche. In Italia si vaccina il 18% della popolazione, cioè le categorie più fragili, anziani (66%) e bambini, ai quali l’immunizzazione è assicurata senza oneri dal Servizio sanitario. Tra il resto della popolazione, invece, la vaccinazione è praticamente sconosciuta. Eppure non è che anziani e bambini siano i soli per i quali la vaccinazione è raccomandata: ci sono le persone con malattie croniche che un’influenza potrebbe peggiorare(diabetici, cardiopatici), ci sono coloro che lavorano a contatto con il pubblico e che possono più facilmente contagiare ed essere contagiati: dai medici agli insegnanti, passando per impiegati nei “front office”, come dicono le persone al passo coi tempi e via discorrendo. C’è poi anche il legittimo interesse di ciascuno a non restare a letto.
Poche alternative al vaccino
Eppure, dice Federanziani, di questi solo il 23% si vaccina annualmente, il 13% lo fa saltuariamente e la larga maggioranza,il 64%, non si è mai vaccinato; “se si riuscisse a immunizzare i 23 milioni di lavoratori italiani, si spenderebbero 117 mln di euro (5 euro per dose), ma i risparmi reali sarebbero almeno di dieci-quindici volte superiori”, visto che ogni epidemia, in media, costa 3 miliardi di euro e comporta la perdita di 32 milioni di giornate di lavoro. Anche questi dati, ovviamente, sono un’approssimazione, visto che a posteriori, a meno di procedere a costose indagini sierologiche, è arduo dire se si sia trattato di influenza o di sindromi simil-influenzali.
Del resto, anche acquistato in farmacia, il vaccino costa attorno a 10-11 euro. Molto meno degli antivirali di cui si sente spesso parlare ma che, alla fine, nelle persone sane, e in caso di influenza “normale”, hanno l’effetto di ridurre di una giornata o giù di lì la durata dei sintomi. Farmaci che peraltro sono stati collocati in fascia C, quindi non prescrivibili dal medico a carico del Servizio sanitario, in quanto non offrono evidentemente un buon rapporto tra costo ed efficacia e non sono considerati un alternativa alla vaccinazione annuale. Ovviamente il discorso cambia se cambiano le situazioni: è evidente che qualora non fosse disponibile il vaccino, come nel caso di un eventuale nuovo ceppo influenzale, o si fosse di fronte a un paziente molto compromesso, l’uso dell’antivirale sarebbe inevitabile, come accaduto nei casi delle persone contagiate dal virus dell’aviaria.
Maurizio Imperiali