Meno tremore ai danni del cuore

12 gennaio 2007
Aggiornamenti e focus

Meno tremore ai danni del cuore



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Era il 1974 quando in piena era levodopa venne dimostrata per la prima volta l'attività antiparkinsoniana degli agonisti della dopamina, bromocriptina all'epoca, poi man mano avvicendata da altri principi attivi di maggiore efficacia. A partire da allora questa classe di farmaci è stata sviluppata per il trattamento della malattia di Parkinson avanzata come aggiunta e sostituzione parziale della levodopa stessa, in modo da poter agire contemporaneamente sulle fluttuazioni motorie (grazie ai dopaminoagonisti) e sulle discinesie. Poi man mano questi farmaci hanno preso il sopravvento fino a diventare spesso farmaci di prima scelta. Senza effetti collaterali? Non esattamente, visto che si è scoperto ormai da tempo che i dopaminoagonisti ergolinici, quali pergolide e cabergolina, possono causare degenerazione fibrotica di alcuni tessuti e in particolare delle valvole cardiache. E' per questo che l'Agenzia Italiana del Farmaco, come riporta il sito dell'Unione Parkinsoniani, ha pubblicato una nota in data 20 dicembre 2004 in cui si afferma che la pergolide deve essere considerata un dopaminoagonista di seconda scelta, da utilizzare dopo che sia stato impiegato senza successo un farmaco non ergolinico e solo dopo dopo aver effettuato un ecocardiogramma. Cautela, perciò, a rafforzare la quale arriva uno studio del New England Journal of Medicine che conferma il rischio e non solo con la pergolide.

Lo studio italiano


Lo studio, diffuso dall'Associazione Italiana Parkinsoniani, è italiano ed è nato da una collaborazione tra il Centro Parkinson Icp di Milano e l'unità cardiologia riabilitativa. La ricerca si è svolta su 155 pazienti parkinsoniani che avevano ricevuto un trattamento con un solo tipo di dopaminoagonista per almeno 12 mesi. I pazienti sono stati suddivisi a seconda che avessero assunto dopaminoagonisti ergot-derivati (derivati da alcaloidi della segale) o non ergot-derivati (preparati sintetici). I risultati sono stati poi confrontati con quelli di 90 persone sane e si sono rivelati tutt'altro che confortanti. E' stata, infatti, riscontrata una insufficienza valvolare clinicamente importante nel 23,4% dei pazienti trattati con pergolide e nel 28,6% di quelli trattati con cabergolina, mentre in compenso nessun paziente trattato con dopamino agonisti non ergolinici (pramipexolo e ropinirolo). Rispetto alle persone sane, lo studio rivela un rischio di danno alle valvole cardiache, da moderato a grave, maggiore da 4 a 6 volte. E maggiore di 4-7 volte, invece, per i pazienti che usano cabergolina. Con una gravità del danno proporzionale alla quantità di farmaco assunta. Un aumento del rischio di danno alle valvole cardiache significativo e da non trascurare, conclude il team di ricerca italiano. Una nota dell'Associazione italiana parkinsoniani rileva l'importanza dello studio, visto che decine di migliaia di pazienti sono potenzialmente a rischio. In seguito ai risultati di questo lavoro, perciò, dovrà essere riconsiderata la loro terapia in base a una valutazione del rapporto rischio/beneficio. Se si rischia troppo meglio considerare altre possibilità. Le alternative non mancano.

Marco Malagutti



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