Talidomide riabilitata

24 marzo 2006
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Talidomide riabilitata



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Un tumore del sangue poco noto ma che, in Italia, colpisce 3500 persone ogni anno nella fascia di età compresa tra i 50 e i 70 anni. E' il mieloma, secondo gli ultimi dati forniti dall'Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma (Ail). Attualmente l'incidenza è di 5 casi ogni 100000 abitanti, negli uomini, e di 4,2, nelle donne; vi è, quindi una leggera prevalenza nel sesso maschile. Ma quello che più preoccupa è la recente tendenza all'aumento, anche se bisogna considerare il sensibile miglioramento, in questi ultimi anni, delle capacità diagnostiche. L'età media di insorgenza è di circa 70 anni e la razza più colpita è la nera, seguita da quella bianca e da quella asiatica. Dati epidemiologici che permangono nei paesi di emigrazione, come a dire che i fattori genetici sono più importanti di quelli ambientali. La causa è ignota, e la terapia dipende dallo stadio della malattia e dall'età del paziente. E proprio di terapia si è occupato uno studio condotto in Italia da un team di ricerca guidato da Antonio Palumbo, dell'Università di Torino, e pubblicato dalla rivista Lancet.

Che cos'è il mieloma


Per cominciare, però, è bene definire la malattia. Il mieloma è una neoplasia dei linfociti B, caratterizzata da un'infiltrazione del midollo osseo da parte di plasmacellule monoclonali (ossia tutte uguali perché derivanti dalla stessa "cellula madre"). Queste cellule producono delle immunoglobuline, sempre monoclonali, che si ritrovano nel sangue e nelle urine. In genere inizialmente non è prevista alcuna terapia, almeno in fase di diagnosi. Se il paziente è anziano, come avviene nella maggior parte dei casi, si preferisce aspettare l'eventuale progressione della malattia e l'insorgenza di una o più complicanze, prima di iniziare la terapia. E' la cosiddetta osservazione guardinga, che risparmia al paziente gli effetti collaterali della terapia, che in genere è chemioterapica. La chemioterapia ad alto dosaggio, con il supporto di cellule staminali ematopoietiche, dicono i ricercatori italiani, aumenta la percentuale di risposta complessiva e la sopravvivenza. Il problema è che questo approccio è ideale per pazienti sotto i 65 anni, che sono solo un terzo del totale. La chemioterapia standard, quella a base di melphalan orale e prednisone, è considerata, dagli anni '60, la terapia base sui pazienti anziani. E da allora non si sono visti grandi sviluppi. Il tentativo effettuato dal gruppo di ricerca italiano è stato quello di mettere alla prova l'aggiunta di talidomide alla terapia standard.

Il riscatto della talidomide


L'aggiunta della talidomide mira a sfruttare la sua azione sinergica con le altre due sostanze, che spesso induce una regressione del tumore maggiore di quanto non si ottenga con la terapia tradizionale. Il farmaco, peraltro, ha una storia quantomeno insolita. Quaranta anni fa, infatti, fu la causa della nascita di oltre 10mila piccoli focomelici, e di un numero imprecisato di aborti e di morti dopo il parto. Negli anni '50 la molecola veniva commercializzata per sconfiggere ansia e nausea in gravidanza, e per i suoi effetti teratogeni è stata ritirata dal mercato nel 1962. La sua riabilitazione è cominciata con l'impiego per trattare alcune complicanze dell'AIDS; poi man mano sono aumentate le pubblicazioni, fino al 1998, quando l'FDA statunitense l'ha approvata nella cura del mieloma. E i dati migliori sono proprio quelli contro questa malattia. L'ulteriore conferma viene dallo studio di Lancet. I pazienti sono stati divisi in due gruppi, uno, di 129 soggetti, destinato a ricevere la terapia standard, un altro, di 126, con l'aggiunta di talidomide. Ebbene, i pazienti trattati con talidomide hanno evidenziato una migliore risposta e una sopravvivenza maggiore. In particolare la percentuale di risposta alla terapia combinata è stata del 76% contro il 47,6%. La sopravvivenza a tre anni è stata dell'80% con l'aggiunta della talidomide contro il 64% per la terapia standard. Anche gli eventi avversi, per la verità, sono lievemente superiori. Ma, precisano gli autori, una terapia profilattica a base di anticoagulanti riduce la trombosi venosa profonda, uno degli eventi più preoccupanti associati alla terapia. Servono ulteriori studi per confermare i risultati, ma già questo primo studio conferma il ruolo della talidomide e la sua ormai definitiva riabilitazione.

Marco Malagutti



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