Lo standard non c'è

17 gennaio 2007
Aggiornamenti e focus

Lo standard non c'è



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Da che la chemioterapia orale è entrata nella pratica clinica comune, i vantaggi risultano evidenti. Per cominciare non deve essere iniettata, somministrata in compresse o capsule rappresenta un metodo molto più facile e meno invasivo di somministrazione del trattamento. Poi può essere assunta a casa, senza bisogno di recarsi in ospedale o in ambulatorio per il trattamento. I pazienti possono così continuare a condurre liberamente la propria vita quotidiana. La chemioterapia orale è stata sviluppata come metodo di trattamento più pratico per pazienti, evitando la necessità di dispositivi di iniezione ingombranti e disagevoli o anche come opzione per soggetti refrattari ad altre chemioterapie. Ma proprio per questa maggiore familiarità e per questo ampio utilizzo dovrebbero esistere standard condivisi di prescrizione. Esistono? A giudicare da un articolo, pubblicato sull'edizione on line del British Medical Journal sembrerebbe di no. Una lacuna che, secondo gli esperti, potrebbe nuocere ai pazienti e all'esito delle cure.

Manca il consenso


Che il ricorso a pillole chemioterapiche possa essere un vantaggio per tumori maligni comuni, come quello al seno e quello al colon-retto, salta agli occhi, premettono i ricercatori. Ma proprio per questi vantaggi e per la potenziale tossicità, l'aderenza al regime farmaceutico è imprescindibile e servono misure di sicurezza standard. Per verificarne l'esistenza il National Cancer Institute statunitense ha effettuato un'indagine in 42 centri oncologici, da cui emergono le profonde differenze con cui vengono prescritti i chemioterapici da assumere per bocca. Le differenze? Il metodo di scrittura delle ricette per cominciare. Se, infatti, in 29 centri sono scritte a mano nei rimanenti si fa ricorso a un sistema computerizzato. E anche gli aspetti formali variano. Per sei chemioterapici orali usati comunemente, 10 centri richiedono una diagnosi sulla prescrizione, 11 un numero di protocollo, quattro un numero di ciclo, nove una verifica da un secondo clinico e ancora 14 richiedono il calcolo dell'area di superficie corporea. Solo un terzo dei centri considerati richiede il consenso informato del paziente quando il chemioterapico è somministrato fuori dal protocollo. Quasi un quarto dei centri (10) non dispone di un procedimento formale per monitorare l'aderenza del paziente. Le differenze perciò riguardano anche la durata e i dosaggi delle cure. Un fatto grave, dal momento che fra il 2004 e il 2005, in almeno 10 centri si sono verificati seri eventi avversi legati alla chemioterapia orale. E anche la figura del farmacista potenzialmente preziosa è sottoutilizzata. I dati perciò evidenziano in modo chiaro come prescrizione, monitoraggio e coordinamento, oltre alla pratica farmaceutica e all'educazione dei pazienti, variano in modo sostanziale. I nuovi farmaci, sottolineano gli esperti, offrono un'opportunità enorme ai pazienti oncologici, soprattutto rispetto a quelli assunti per via endovenosa. Ma occorre che ci sia consenso fra gli oncologi su come utilizzarli.

Marco Malagutti



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