Se il tumore svanisce

31 marzo 2006
Aggiornamenti e focus

Se il tumore svanisce



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Ogni anno in Italia, circa 12000 pazienti epatopatici, in prevalenza con cirrosi postepatitica da virus C, si ammalano di carcinoma epatocellulare. Un numero considerevole di persone, per quello che è il cancro al quarto posto mondiale per numero di vittime. Questi pazienti, infatti, a parte i pochi che riescono a ricevere il trapianto, muoiono per il tumore o per l'aggravarsi della cirrosi. E le cure? Dell'argomento si è parlato a Milano nel corso di una conferenza stampa di presentazione di un nuovo cocktail terapeutico che, a giudicare dai primi risultati pubblicati sulla rivista Oncology Research, sembra molto promettente. Il problema del carcinoma epatocellulare, infatti, come ha spiegato Tito Livraghi, primario emerito dell'Unità operativa complessa di Radiologia all'Azienda ospedaliera di Vimercate (Milano), che ha sperimentato sui suoi pazienti la nuova terapia, è che ogni opzione terapeutica, sia chirurgica che non, sembra poter solo allungare la sopravvivenza del paziente. Con tutto quello che ciò comporta sia dal punto di vista medico sia dal punto di vista umano. La novità terapeutica, ideata già vent'anni fa da Pier Mario Biava, direttore della Fondazione ricerca terapie biologiche cancro, e primario di Medicina del lavoro all'ospedale Civile di Sesto San Giovanni (Milano), sembra poter rappresentare una svolta.

La ricerca italiana


I pazienti sono stati trattati con tre dosi quotidiane sublinguali bassissime (nell'ordine dei microgrammi) con un estratto embrionale contenente fattori di differenziazione delle cellule staminali. Si tratta, hanno spiegato i ricercatori, di una complessa miscela di proteine e micro-RNA nucleico in cui i fattori di differenziazione sono stati isolati nel momento in cui le cellule staminali, ricavate dal comune pesce di laboratorio zebrafish, si modificano trasformandosi da totipotenti, ossia capaci di tutto, a pluripotenti, ossia più specializzate. "Visto che le tumorali sono cellule indifferenziate, in ciò simili alle staminali, ma volte all'opposto di esse a una replicazione indefinitamente fuor di regola, innaturale" ha spiegato Biava "somministrando i fattori di differenziazione si riportano le cellule alla normale fisiologia". La difficoltà principale sta nell'individuare lo stadio in cui la maturazione delle cellule tumorali si è bloccata, somministrando poi i fattori di differenziazione delle staminali corrispondenti a quello stadio. Le cellule tumorali riprendono così a differenziarsi e portano a termine la loro missione. I risultati sono inequivocabili. L'efficacia terapeutica è stata controllata dopo quattro mesi mediante TAC e markers tumorali. Sui 179 pazienti iniziali, il 20% ha mostrato una remissione completa del carcinoma o una sua regressione e il 16% una stabilizzazione della malattia per periodi fino a due anni, il tempo di durata dello studio. Ma oltre a questo la maggioranza dei pazienti ha riferito un miglioramento delle condizioni generali. Un risultato considerevole se si pensa che si tratta di pazienti affetti da stadi ormai avanzati di tumore maligno primitivo del fegato, non più trattabili né con le terapie mediche né chirurgiche come resezione e trapianto. In più, non si sono evidenziati effetti collaterali negativi: solo l'1% dei pazienti ne ha presentati di assolutamente modesti. Si può ben capire l'entusiasmo dei ricercatori che, ha spiegato Livraghi, hanno visto il tumore sbiadire alla TAC, tanto da aver coniato il termine di effetto evanescenza. Biava, comunque, che ha lavorato al progetto per lungo tempo senza ricevere fondi da industrie farmaceutiche, ostenta cautela. Ma la ricerca continuerà e il successo clinico su pazienti con carcinoma epatico in fase media-avanzata lascia ben sperare.

Marco Malagutti



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