Chi dorme non piglia raffreddore

16 gennaio 2009
Aggiornamenti e focus

Chi dorme non piglia raffreddore



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Il buon senso non soddisfa criteri scientifici necessari per innalzare una buona abitudine al ruolo di strumento di prevenzione di alcune malattie. Servono prove, numeri e risultati. Ci hanno pensato i ricercatori della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, i quali hanno provato che dormire in modo adeguato riduce la predisposizione ad ammalarsi di comune raffreddore, tipico dei periodi invernali.

Immunità alterata

Alcuni studi sperimentali hanno dimostrato che la privazione di sonno modifica la risposta immunitaria riducendo l'attività delle cellule natural killer, sopprimendo la produzione di interleuchina-2, fattore che stimola la proliferazione di linfociti T e aumentando i livelli circolanti di citochine proinfiammatorie. Inoltre, altera anche la risposta anticorpale alla vaccinazione contro l'epatite A e l'influenza. Gli autori sostengono di non aver trovato in letteratura dati, se non da analisi secondarie, che collegavano le abitudini del sonno e l'efficacia del sonno alla suscettibilità al rhinovirus, con metodi di esposizione diretta al patogeno del raffreddore comune. Hanno così selezionato 78 uomini e 75 donne tra i 21 e i 55 anni, in buona salute e senza disturbi di natura psichiatrica. Sono state raccolte informazioni generali dallo stato sociale fino alle abitudini e agli stili di vita (fumo, alcol, livello di stress, attività fisica), e quotidianamente, per circa venti giorni sono state realizzate interviste più o meno quotidiane, relative al numero di ore dormite, all'efficienza del sonno, cioè le ore dormite rispetto al tempo passato a letto. E' stata poi stimata una media di questi valori sul breve periodo considerato e valutando anche la percentuale di giorni in cui la persona si sentiva riposata.

Buone abitudini per la prevenzione

Dopo tutti gli accertamenti sul sonno e dopo aver verificato che nella mucosa nasale non ci fossero tracce di una precedente infezione virale, i volontari sono stati esposti al patogeno mediante gocce nasali, a rhinovirus. Durante il periodo di isolamento, nei primi cinque giorni gli operatori hanno valutato i sintomi clinici di malattie respiratorie dopo un mese hanno misurato la presenza di anticorpi specifici nel sangue dei volontari. Così è stato provato quanto si era ipotizzato: una scarsa efficienza del sonno e sonno di breve durata erano associati a un'aumentata probabilità di prendersi il raffreddore. Le associazioni rimanevano valide e marcate a parità di altre variabili e abitudini di vita del soggetto, e l'efficienza del sonno era il fattore predittivo primario e maggiormente indipendente. Altri studi relativi al sonno hanno verificato che la durata del sonno è associata alla mortalità che è decisamente più bassa, come il rischio di malattie coronariche tra chi dorme sette o otto ore per notte. Anche se in alcuni casi l'eccesso di sonno può essere sintomo di forme depressive, fattore di rischio per la mortalità, in questo caso, escludendo inizialmente disturbi psichiatrici, è evidente che dormire otto o più ore è associato a un migliore stato di salute. Gli autori sostengono di non essere in grado di comprendere se il sonno influisce sull'infezione, ma ciò che è evidente è la comparsa della sintomatologia del raffreddore nei soggetti che dormono poco. E una possibile spiegazione è l'interferenza dell'inadeguatezza del sonno nella regolazione di citochine proinfiammatorie, dell'istamina e di altri fattori scatenanti dei sintomi che vengono rilasciati in risposta all'infezione. Ci sono sufficienti prove che indicano che un buon sonno possa essere qualcosa di più di una buona abitudine.

Simona Zazzetta

Fonti
  • Cohen S et al. Sleep habits and susceptibility to the common cold. Arch Intern Med. 2009 Jan 12;169(1):62-7



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