Il vaccino della discordia

14 ottobre 2005
Aggiornamenti e focus

Il vaccino della discordia



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La regolamentazione in materia di vaccinazioni, introdotta dall'ex ministro della sanità Rosy Bindi, ha trasformato l'obbligatorietà in raccomandabilità, vale a dire che la scelta di immunizzare o meno i bambini è stata delegata alla famiglia. Lo scenario in cui ciò avveniva e avviene è quello di un paese, e in generale di un'area geografica più ampia, in cui molte malattie prevenibili con il vaccino sono state soppresse o comunque sono scomparse. Una condizione che spesso porta i genitori a valutare l'opportunità o meno di seguire una prassi non più obbligata. E se da una parte i dubbi nascono sulla necessità reale di vaccinare i propri figli, dall'altra è emerso un filone di letteratura più o meno ufficiale e più o meno scientifica che metteva in discussione la sicurezza di tale azione.

Tradizionali e nuovi


Il fenomeno ha investito un po' tutta l'area occidentale in cui certe malattie hanno smesso di essere una minaccia, tuttavia non è raro che tornino alla cronaca casi isolati. Inoltre, per quanto non pericolose per la vita e comunque curabili, altre malattie come l'influenza, la pertosse, le malattie esantematiche hanno un costo sociale non trascurabile che si risolverebbe prevenendole. Senza dimenticare che lo stesso batterio che può provocare infezioni transitorie (Haemophilus influenzae) può anche essere la causa, nei bambini più piccoli, di gravi infezioni, come polmoniti, epiglottiti e meningiti.In questo clima di contraddizioni, nel 2001, negli Stati Uniti, lo 0,3% di bambini (cioè 17 mila) tra i 19 e i 35 mesi non è stato sottoposto a vaccinazione, e il 36,9% non lo è stato in modo completo, la scheda vaccinale suggerita non è stata adottata in pieno. In un'indagine che ha coinvolto i pediatri è emerso che il 54% aveva incontrato, nei 12 mesi precedenti, famiglie che si rifiutavano di vaccinare i propri figli e la principale argomentazione della loro scelta era proprio la sicurezza. La risposta dei pediatri a questo atteggiamento è poi quanto meno emblematica. Nella stessa intervista emerge lo scetticismo dei medici rispetto a tale scelta, tanto che il 39% dichiarava la propria disapprovazione con l'intenzione di non voler più partecipare al percorso sanitario del bimbo in questione. Quando il rifiuto alla vaccinazione interessava i vaccini più nuovi, cioè quelli introdotti di recente, come per esempio il coniugato pneumococcico eptavalente, la percentuale scendeva al 28%. Una tendenza che compariva più frequentemente nei medici più giovani.

Pediatri scettici


Certamente, non è per conservare il rapporto con il proprio pediatra che bisogna vaccinare i propri figli, tuttavia le risposte ottenute sono indicative dell'importanza che questa prassi riveste nella sicurezza sanitaria. Esisteva infatti una correlazione positiva tra il grado di importanza attribuito alla vaccinazione tradizionale e la volontà espressa di respingere genitori che la rifiutavano. In un certo senso il medico vede nel rifiuto della famiglia una garanzia in meno per la salute del piccolo assistito, che esporrebbe il bambino ed eventualmente la comunità in cui vive, a rischi maggiori a cui poi dovrà fare fronte in caso di malattia.

Simona Zazzetta



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