Sfumature post-partum

31 marzo 2006
Aggiornamenti e focus

Sfumature post-partum



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Sempre più attenzione viene rivolta alla delicata condizione della donna nella fase successiva al parto, e le cronache hanno purtroppo contribuito a mettere in luce il disagio generalmente indicato come depressione post partum. Tuttavia, la questione non si risolve con questa diagnosi e la successiva cura, perché il quadro clinico, in questi casi, può essere meno netto e le sfumature possono passare inosservate e sottovalutate. La letteratura scientifica riporta una prevalenza del 13%, ma tutte le possibili ramificazioni del disturbo sono potenzialmente portatrici di effetti negativi per la madre, per il bambino e per la relazione con il partner.

Depressione e ansia, insieme ma non identiche


Pur restando la depressione il disturbo dell'umore più diffuso in questa popolazione femminile, sono molti i ricercatori che hanno sottolineato l'importanza di distinguere le possibili gradazioni. E' stata riconosciuta, per esempio, la coesistenza con l'ansia, che, però, viene considerata un aspetto della depressione, ma poiché non tutte le neomamme ansiose sono depresse, il rischio è sottostimare questa condizione e non trattarla adeguatamente. Non a caso, molte ricerche, condotte sulla popolazione generale, hanno dimostrato che la comorbidità di ansia e depressione comporta sintomi più gravi e difficili da trattare, con esiti più scarsi, aumento del rischio di suicidio. Quindi è necessario curare entrambi gli aspetti, che richiedono approcci diversi. Inoltre, alcuni autori indicano che l'ansia può essere un precursore della depressione, in quanto risultato di percorsi fisiologici alterati o di una gestione fallimentare dello stress. Altro elemento, quest'ultimo, non trascurabile: alcuni studi hanno rilevato un legame tra i livelli di stress, il modo con cui lo si affronta e la sintomatologia depressiva.

Strumenti opportuni


Il primo passo è disporre di strumenti diagnostici che diano misurazioni quanto più oggettive della condizione della paziente, che permettano di fare le opportune distinzioni e agire in modo specifico. Generalmente la diagnosi in questi casi viene gestita con le scale a punteggi: in base al tipo di risposte si ottiene un valore finale a cui corrisponde uno o l'altro dei profili possibili. Per stabilire la validità di questi strumenti, li si confronta in termini di sensibilità e specificità. In uno studio su circa 300 mamme ne sono stati applicati due: la Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS) e la Depression Anxiety Stress Scale. La prima misura la depressione, la seconda distingue tra sintomi depressivi (umore disforico), ansia (arousal fisiologico) e stress (agitazione e tensione fisiologica). Le 325 donne, che avevano concluso la loro prima gravidanza da almeno sei settimane e non più di sei mesi, sono state invitate a compilare un questionario anonimo e, sulla base di questo sono state fatte le valutazioni. Avevano tra i 18 e i 44 anni (età media 32) sposate nel 94% dei casi.Con la scala EPDS, 80 donne, il 25% del campione, sono state valutate come possibili depresse, una diagnosi avvalorata nel 58% dei casi anche dalla scala DASS. A sua volta, il DASS ha individuato 61 donne depresse, il 19% del campione, tuttavia un altro 10% (33 donne) mostrava sintomi di ansia e stress senza essere depresso, un 13% (41 donne) aveva sintomi di ansia, sola o in combinazione con la depressione, infine un 7% del campione era sia ansioso sia depresso. E' evidente che i criteri diagnostici del metodo DASS sono più ampi e quindi includono misurazioni che non si fermano alla sola depressione, ma che si estendono a molte possibili forme della sofferenza post natale. Nel caso specifico è stato possibile individuare una quota (il 29% del campione) che sarebbe passata inosservata con criteri più limitati, un vantaggio sul metodo mirato alla sola depressione, che rappresenta un opportunità per intervenire e evitare le potenziali conseguenze avverse.

Simona Zazzetta



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