Quando non c'è solo la prostata

01 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus

Quando non c'è solo la prostata



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Non sempre il carcinoma della prostata è operabile, anche quando è localizzato, cioè ancora confinato alla prostata stessa, oppure quando è localmente avanzato. In questi casi però si può intervenire sia con la radioterapia sia con la chemioterapia o anche con entrambe. Ed è proprio il confronto tra la sola terapia radiante e la sua associazione alla terapia farmacologica (la soppressione degli androgeni, indicata come AST), che è dedicato uno studio statunitense. Il confronto era richiesto dai molti indizi che deponevano per un'azione negativa della chemioterapia nei pazienti che presentavano anche altre malattie oltre al tumore. Infatti va tenuto presente che in maggioranza si tratta di pazienti anziani: in questo studio, anche se l'età variava da 49 a 82 anni più della metà superava i 72. Di conseguenza, sono stati coinvolti 206 uomini pervenuti a un centro specialistico, affetti da tumore non metastatico con almeno un fattore di prognosi sfavorevole, per esempio elevato valore del PSA (l'antigene prostatico specifico) segni di invasione delle vescicole seminali, biopsia sfavorevole. Il campione è stato suddiviso in due gruppi, uno trattato con radioterapia conformazionale tridimensionale (le radiazioni vengono indirizzate in modo da "copiare" la lesione) oppure con la radioterapia e con la soppressione androgenica (ottenuta con un agonista dell'ormone che rilascia l'ormone luteinizzante e con un antiandrogeno chiamato flutamide).

Il quadro generale


Naturalmente, i pazienti sono stati suddivisi anche in funzione della presenza di altre malattie, assegnando 4 diversi gradi di gravità della situazione: grado 0, nessuna comorbidità; grado 1, comorbidità minima; grado 2, moderata e grado 3, grave.
Le persone coinvolte sono state seguite per parecchi anni, la metà per più di 7,6 anni. Nell'arco dello studio, si sono verificati 74 decessi: 44 nel gruppo della sola radioterapia, 30 nel gruppo radioterapia più AST. Le morti attribuibili direttamente al tumore sono state 14 nel gruppo radioterapia e quattro nell'altro. L'analisi statistica ha poi confermato che le possibilità di sopravvivenza erano più elevate con la doppia terapia. Ma questa è solo la prima parte dell'analisi. Se si cominciava a considerare la presenza di altre malattie oltre al tumore, cominciava a delinearsi un quadro diverso. Intanto, nei pazienti che avevano una bassa comorbidità l'effetto del tumore era significativo, cioè era una causa importante, mentre quando si passava a gravi comorbidità il tumore perdeva di importanza come causa di morte. Infine, se si incrociavano i dati sulla comorbidità con il tipo di trattamento usato, emergeva che il vantaggio in termini di sopravvivenza per la terapia combinata si manteneva quando non vi era comorbidità di grado 0 e 1, mentre quando diventava più seria la sopravvivenza a otto anni era pari al 25% associando radioterapia e AST, mentre con la sola radioterapia era decisamente migliore: il 54%.

Distinguere in modo semplice


In conclusione, dicono gli autori, è confermato che l'associazione della radioterapia con l'AST è più efficace della sola radioterapia (aumentando la sopravvivenza fino a quattro volte), ma che questo vantaggio non si presenta nei pazienti che sofforono in modo moderato o grave di altre patologie. Il che, ricordano, è coerente con molte altre osservazioni, come quella che il ricorso agli antitumorali, come classe complessiva, anticipa il presentarsi dell'infarto nelle persone di più di 65 anni. Certamente, questa indicazione è molto generica, e gli autori auspicano che ora si passi a studiare quali comorbidità in particolare risentono di questo effetto. Lo scopo disegnare uno schema il più semplice possibile che consenta di individuare per quali pazienti è bene evitare la chemioterapia. E quasi noioso, ma anche in questo caso non esistono terapie che vadano bene per tutti.

Gianluca Casponi



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