Prevenire si può

10 gennaio 2003
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Prevenire si può



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"...tranne i vaccini, nessun altro provvedimento di salute pubblica può avere un impatto significativo sull'incidenza di questa malattia." Così un'organizzazione autorevole come l'Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa recentemente a proposito della vaccinazione per la meningite. I vaccini disponibili variano a seconda dei batteri responsabili anche se possiamo considerare tre principali vettori: Haemophilus influenzae, che colpisce soprattutto i bambini, il cui vaccino è raccomandato dal Ministero della Sanità dal 1991, Streptococcus pneumoniae (pneumococco) la cui vaccinazione è stata introdotta in Inghilterra nel 1979 e infine Neisseria meningitidis (meningococco) messo alle corde di recente dopo anni di studio.

Haemophilus influenzae


Nei paesi industrializzati si può considerare debellata l'infezione ad opera di questo batterio gram-negativo grazie ad una sistematica vaccinazione mirata dei bambini nel corso degli ultimi anni. L'infezione colpisce soprattutto bambini tra i 2 mesi ed i 2 anni e nella maggioranza dei casi è attribuibile a ceppi del sierotipo b. Negli Stati Uniti prima dell'introduzione del vaccino si verificavano circa 10000 casi all'anno. Poi nel 1991 fu introdotto il vaccino e si osservò un declino della malattia. Nei paesi in cui ciò non è avvenuto si assiste ad un'incidenza della malattia di 20-50 casi ogni 100000 bambini compresi tra due mesi e due anni. Negli adulti, invece, raramente l'Haemophilus Influenzae causa meningite.

Streptococcus pneumoniae


La vaccinazione antipneumococcica è stata introdotta in Inghilterra nel 1979. Oggi viene raccomandata dal Ministero della Sanità nei pazienti ad alto rischio di sviluppare una infezione da pneumococco. Il Department of Health inglese raccomanda di vaccinare tutti i soggetti di età superiore ai 2 anni nei quali l'infezione pneumococcica può risultare più frequente o più pericolosa. I bambini sotto i due anni, invece, producono una ridotta risposta immunitaria agli antigeni polisaccaridici introdotti con la vaccinazione. Dal punto di vista degli studi clinici poco è stato sino ad ora definito. Il problema è che, vista la rarità delle meningiti pneumococciche, è difficile disporre della casistica necessaria a confermare i benefici del trattamento. Il principale studio disponibile documenta l'efficacia del vaccino nel ridurre l'incidenza della meningite del 61-87%. Non si sa quanto a lungo duri la protezione del vaccino nei confronti dell'infezione pneumococcica: si va da un minimo di circa tre anni ad un massimo di più di 8 anni. In uno studio realizzato su 127 pazienti sottoposti ad una seconda vaccinazione a distanza di almeno 6 anni dalla prima, il 4-8% ha lamentato reazioni sistemiche di modesta entità e il 40-60% ha manifestato reazioni locali. Percentuali non molto più alte di quelle riportate con la prima vaccinazione. Uno studio americano ha valutato anche il rapporto costo/efficacia, arrivando alla conclusione che la vaccinazione delle persone con più di 65 anni risulta giustificata sul piano dei risparmi ottenibili, anche se ci si limita alla prevenzione della sola batteriemia pneumococcica.

Neisseria meningitidis 

Delle 135.000 persone che ogni anno muoiono di meningite la maggior parte sono attaccate da questo batterio che penetra nell'organismo attraverso la mucosa nasale e si diffonde nel sangue fino a raggiungere il sistema nervoso centrale. Dopo lunghe ricerche il meningococco Neisseria Meningitidis di tipo B, il più tenace e resistente, è stato messo alle corde ed in modo sorprendentemente veloce: 18 mesi di lavoro sono bastati a un piccolo gruppo di ricerca per risolvere un problema che negli ultimi 40 anni aveva fatto girare a vuoto molti laboratori. Cosa è cambiato? Semplice, è stato sequenziato il genoma. È stato così possibile analizzare un centinaio di proteine di superficie del batterio responsabile della meningite; e da qui restringere il campo a quelle 25 che hanno dimostrato di avere le proprietà necessarie per sollecitare una risposta immunitaria da parte dell'organismo. Da queste si è sviluppato il vaccino e oggi si dispone anche di una comprensione più approfondita della malattia.

Vaccini coniugati

L'ultima evoluzione in campo immunologico riguarda il vaccino coniugato. Come detto, infatti, i vaccini antipneumococcici polisaccaridici tradizionali, utilizzati sin dagli anni '80 ed efficaci per certe fasce d'età, non sono in grado di proteggere i bambini al di sotto dei due anni, che sono i soggetti più a rischio di infezione pneumococcica. Un problema non indifferente visto che nei paesi industrializzati, l'incidenza della malattia invasiva pneumococcica è stimata a ben 160 casi su 100000 nei bambini di età inferiore ai due anni, con un rischio che aumenta sensibilmente nei bambini che frequentano asili, ambienti che favoriscono una rapida trasmissione dei batteri. Perché il vaccino non funziona sui bambini sotto i due anni? Il problema sta nella natura del pneumococco. Si tratta di un batterio capsulato con un rivestimento esterno polisaccaridico, che è il principale fattore di virulenza, cioè di pericolo. Il sistema immunitario del bambino però è ancora immaturo sotto i due anni d'età, sicché non può riconoscere il polisaccaride. Si è arrivati così alla realizzazione di vaccini coniugati in cui una proteina è collegata al polisaccaride. La vaccinazione con il vaccino coniugato genera la produzione di specifici anticorpi, "proteine difensive", che combattono i batteri e stimolano la memoria immunologica; quest'ultima avrà un'importanza fondamentale nella difesa a lungo termine. Dall'introduzione dei vaccini coniugati, anti Hib negli anni '80 e antimeningococcici C nel 1999, la malattia ha fatto registrare regressi netti sia in termini di incidenza che di diffusione.

Marco Malagutti



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