L'HCV non sfrutta il sesso

19 maggio 2004
Aggiornamenti e focus

L'HCV non sfrutta il sesso



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Uno degli aspetti più difficili da affrontare in fatto di epatite virale è la presenza di più virus responsabili dell'infezione. Virus che presentano caratteristiche differenti sia per la loro natura intrinseca, tanto che per alcuni si può approntare un vaccino efficace (virus A e B) per altri no, sia per le modalità di trasmissione. Una ricerca italiana, per esempio, conferma un dato che era stato recentemente messo in discussione, e cioè la scarsa efficienza della trasmissione del virus dell'epatite C attraverso i rapporti sessuali.

Solo tre casi e anche poco significativi


L'epatite C è forse la forma più preoccupante, in quanto a causa della forte variabilità genetica del virus, a sua volta causata dalla grande capacità di replicarsi, è difficile mettere a punto un identikit del virus abbastanza somigliante da poter realizzare un vaccino. Scoperto, in tempi relativamente recenti, l'HCV ha fatto in tempo a infettare migliaia di persone, soprattutto attraverso le trasfusioni di sangue e, naturalmente, lo scambio di siringhe tra i consumatori di droghe iniettive. Restava aperta la questione della via sessuale, che è un efficace veicolo di trasmissione dell'epatite B, ma per quanto riguarda questo virus gli studi avevano dato esiti discordanti: da nessuna trasmissione a un tasso di contagio del 30% tra le coppie eterosessuali. Una variabilità molto elevata, dunque, che secondo Carmen Vandelli dell'Università di Modena e prima firmataria dello studio, probabilmente era dovuta alla presenza di altre possibili fonti di contagio non prese in considerazione. L'équipe italiana può affermarlo dopo aver seguito per 10 anni 895 coppie in cui uno dei partner soffriva di epatite C cronica. Le caratteristiche del campione erano una relativa frequenza dei rapporti sessuali (in media 1,8 la settimana) e la pratica dei rapporti non protetti, cioè senza uso del profilattico. Inoltre le coppie dichiaravano di non praticare il sesso anale e di astenersi dai rapporti durante il ciclo mestruale della partner; queste due circostanze, è ovvio erano rilevanti ai fini del contatto con il sangue della persona portatrice dell'infezione.

Le altre raccomandazioni valgono ancora


I risultati dell'indagine hanno dato un risultato chiaro: nell'arco dello studio si sono verificati soltanto tre casi di infezione del partner sano, il che equivale percentualmente a 0, 3 casi ogni 1000 persone per anno. Tuttavia anche questi tre casi vanno considerati con beneficio di inventario. Infatti, le analisi genetiche del materiale virale hanno rivelato in tutte e tre le occasioni che il virus contratto era differente da quello del partner. Quindi non dai rapporti sessuali veniva il contagio. Quali sono le implicazioni è abbastanza semplice. Intanto non è il caso di raccomandare l'utilizzo del profilattico all'interno di queste coppie, sempre che ovviamente si tratti di coppie monogame, altrimenti vale la regola prudenziale standard: in caso di rapporti con più partner è ovvio che non si può rinunciare alla protezione. Questo ovviamente non significa abbandonare qualsiasi prudenza: le altre possibilità di trasmissione restano tutte, quindi è necessario evitare di scambiarsi oggetti per l'igiene intima (spazzolini, strumenti per la manicure) e siringhe.
Un'altra conseguenza è che non va considerato necessario procedere a test periodici del convivente sano, sempre che osservi le precauzioni elencate. Una conseguenza non trascurabile, soprattutto oggi che viene messa in questione l'idea di condurre screening sulle persone che non presentano sintomi e non appartengono alle fasce della popolazione più esposte(operatori sanitari, tossicodipendenti eccetera), sia per ragioni economiche sia per evitare di generare ansia e allarme poco motivati.

Maurizio Imperiali



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