Psicologia pandemica e #coronavirus - Il commento di Luca Pani

09 marzo 2020
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Psicologia pandemica e #coronavirus - Il commento di Luca Pani



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Le più profonde reazioni umane avvengono solo in circostanze eccezionali. Per complicati meccanismi di sopravvivenza la parte razionale del cervello viene esclusa quando si tratta di prendere decisioni improvvise e, in certi casi, anche quelle che dovrebbero essere più ponderate. Sappiamo che comportamenti istintivi come l'isolamento sociale sono efficaci nell'ostacolare la diffusione e persistenza di malattie infettive ed è quanto, giustamente, raccomandano gli esperti.

Isolamento sociale: le tre fasi di adesione


Ci sono almeno tre fasi che determinano l'adesione della popolazione alle raccomandazioni degli esperti.
  • In una prima fase l'infezione resta endemica nonostante la messa in atto di importanti cambiamenti comportamentali a livello individuale, il che è frustrante.
  • In una seconda fase soprattutto se certi comportamenti diventano dominanti a livello di popolazione, l'epidemia può rallentare al punto da sembrare finita, il che è auspicabile, ma pericolosamente falso.
  • In una terza fase si ottiene l'eliminazione di una malattia sino a quel momento pandemica grazie a comportamenti permanenti come l'uso di vaccinazioni efficaci di massa che, notate come è crudele la mente umana, in assenza della malattia attiva, visto il successo della fase precedente, non vengono attuate su scala sufficiente dando modo al microbo di turno di sopravvivere e magari rinforzarsi sino alla prossima epidemia.

Tutti devono essere responsabili


In questo contesto va anche ricordato che la riduzione spontanea del numero di contatti sociali viene decisa solo da alcune persone ma non da tutti. Comportamenti preventivi come il distanziamento o l'esclusione sociale per evitare gli affollamenti sono infatti altamente dipendenti dalle differenze individuali nella percezione dei rischi (che oltretutto cambia con l'età degli individui) e sono una caratteristica saliente di tutte le epidemie perché mettono in relazione reciproca le variabilità di due popolazioni: quella virale e quella umana. Queste considerazioni invitano a prestare molta attenzione quando si valuta il reale effetto di un cambiamento comportamentale adattativo nella previsione del decorso delle epidemie, così come rendono quasi impossibile raccomandare con certezza misure di salute pubblica che non tengano conto (e come potrebbero?) di comportamenti umani spontanei, erratici e in continua trasformazione a causa della paura di essere infettati e di morire.

La peste di Giustiniano

Dal punto di vista evoluzionistico è interessante, anche se non auspicabile, notare che esistono persino dei "temerari" che "sfidano" volontariamente le infezioni più gravi come accadde per la Peste di Giustiniano nell'a.D. 541, (sino 12.000 morti al giorno nella sola Costantinopoli) perché quelli che sopravvivono possano portare avanti la nostra specie. Per fortuna non sembra che il coronavirus richieda questo livello di coraggio.

Luca Pani



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