Covid-19: gli studi su idrossiclorochina, antiretrovirali e inibitori di pompa

18 luglio 2020
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Covid-19: gli studi su idrossiclorochina, antiretrovirali e inibitori di pompa



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Sempre più studi si stanno occupando di chiarire quale vantaggio o svantaggio possa venire ai pazienti da farmaci usati per il trattamento del nuovo coronavirus e per le patologie concomitanti. Per cominciare, una notizia positiva. Sembra infatti che il trattamento con idrossiclorochina riduca il tasso di mortalità, senza causare effetti collaterali collegati al cuore. Questo è quanto affermano Marcus Zervos, dell'Henry Ford Hospital, Wayne State University School of Medicine, e il suo gruppo di lavoro, in uno studio pubblicato sull'International Journal of Infectious Diseases.


Pazienti trattati con idrossiclorochina


Analizzando 2.541 pazienti ricoverati in sei ospedali della loro rete, gli esperti hanno visto che è deceduto il 13% di quelli trattati con idrossiclorochina rispetto al 26,4% di quelli non trattati con tale principio attivo. L'analisi dei dati ha mostrato anche che i pazienti trattati con azitromicina o con una combinazione di idrossiclorochina e azitromicina hanno avuto esiti leggermente migliori rispetto a quelli non trattati con questi farmaci, con decessi che hanno riguardato il 22,4% delle persone gestite con sola azitromicina, il 20,1% di chi ha ricevuto la combinazione azitromicina e idrossiclorochina e il 26,4% di coloro non erano stati trattati con alcuno dei due farmaci.


Pazienti trattati con antivirali


Secondo una nuova ricerca pubblicata oggi su Circulation: Arrhythmia and Electrophysiology, invece, altri due farmaci usati in combinazione per trattare il coronavirus, lopinavir e ritonavir, causerebbero nei pazienti anziani e gravemente malati di Covid-19 bradicardia in maniera più frequente rispetto alla popolazione generale.

I ricercatori, guidati da Christophe Beyls, dello University Hospital Amiens, hanno valutato il rischio di bradicardia in 41 pazienti in condizioni critiche ricoverati nella loro struttura, che sono stati trattati con 200 mg di lopinavir e 50 mg di ritonavir due volte al giorno per 10 giorni. Il 22% di questi pazienti ha manifestato bradicardia per più di 24 ore, e la bradicardia si è verificata almeno 48 ore dopo l'inizio del trattamento, e la concentrazione di ritonavir 72 ore dopo aver ricevuto il trattamento si è mostrata più elevata nei pazienti che presentavano bradicardia. I pazienti che hanno manifestato questo disturbo erano in media più anziani rispetto ai pazienti che hanno ricevuto il trattamento e non ne hanno sofferto, e la bradicardia si è risolta dopo l'interruzione dei farmaci o la riduzione delle dosi.


Pazienti trattati con inibitori di pompa protonica

Di inibitori di pompa protonica si sono occupati invece, sull'American Journal of Gastroenterology, Christopher Almario e Brennan Spiegel, del Cedars-Sinai Medical Center a Los Angeles, insieme aWilliam Chey, della University of Michigan. Gli esperti hanno condotto un'indagine online che ha coinvolto un totale di 53.130 persone, di cui 3.386 risultate positive al test per Covid-19. L'analisi dei dati raccolti ha mostrato che le persone che assumono gli inibitori di pompa fino a una volta al giorno hanno un rischio 2,2 volte maggiore di risultare positivi al tampone, rispetto a quelle che non assumono questi farmaci, mentre le persone che ne fanno uso due volte al giorno hanno un rischio aumentato di 3,7 volte.

Lo studio per il suo disegno non può chiaramente mostrare alcuna relazione di causa ed effetto, ma secondo gli autori, l'aumento di rischio evidenziato, sia relativo che dose-dipendente, supporta nuovi studi sull'argomento. I ricercatori sottolineano che chi è in cura con gli inibitori di pompa non deve interrompere il trattamento senza prima consultare il proprio medico, e che anche solo il lavaggio frequente delle mani, il distanziamento sociale e altre azioni preventive comuni possono compensare l'aumento di rischio potenzialmente associato all'uso di questi farmaci.

Fonte: Farmacista33

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