Staminali da liquido amniotico, il futuro della medicina

21 gennaio 2011
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Staminali da liquido amniotico, il futuro della medicina



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di Marco Malagutti

Era il gennaio 2007, esattamente quattro anni fa, quando venne annunciato con un articolo sulla rivista Nature Biotechnology, la scoperta di cellule staminali nel liquido amniotico. La ricerca, cui diedero un contributo fondamentale anche ricercatori (e capitali) italiani, apriva nuovi orizzonti per la cura di molte malattie e nel campo dei trapianti. Promesse mantenute? In gran parte sì, almeno stando a una conferenza stampa appena svoltasi a Milano, che ha fatto il punto sugli studi e le ricerche avviate.

Le staminali derivate dal liquido amniotico «sono cellule mesenchimali ossia altamente differenziate» spiega Giuseppe Simoni, ordinario di genetica medica all'università di Milano e direttore scientifico di Biocell center, il centro di Busto Arsizio (Va) che da tre anni offre il servizio di conservazione del liquido amniotico a pagamento. «Questo tipo di cellule» continua Simoni «può cioè dare origine ad altri nuclei cellulari con caratteristiche di vari tessuti come quelli cartilaginei, ossei, adiposi, neurali». E così nella più rosea prospettiva possono essere utili a curare patologie del fegato, della cute, dei reni, delle ossa e dei tendini. In più sono cellule ad alta proliferatività, perciò basta una piccolissima frazione di liquido amniotico, cioè i primi tre ml estratti durante l'amniocentesi, per fornire da 20 mila a 30 mila cellule, quanto basta per usi terapeutici futuri. Le applicazioni su modelli animali hanno già fornito risultati incoraggianti ed è prossima la sperimentazione sull'uomo, con oltre un centinaio di applicazioni in fase di approvazione dell'Fda. Sicuramente un passo avanti significativo rispetto alle staminali embrionali, le cui grandi potenzialità per ora non si sono concretizzate, per problemi etici ma soprattutto come sottolinea Simoni «per la loro instabilità genetica che provoca riarrangiamenti del genoma e sviluppo di tumori». Altro ancora poi sono le cellule del cordone ombelicale «particolarmente propense a generare cellule del sangue, e quindi utilizzate per la cura di leucemie e linfomi tramite la donazione eterologa» spiega il genetista. Le cellule del liquido amniotico, invece si prestano anche ad uso autologo, cioé per se stessi, per la sostituzione di parti del corpo danneggiate o non funzionanti, come nel caso di ustioni e fratture, la cosiddetta medicina rigenerativa.

L'operazione è piuttosto semplice come sottolinea Claudio Giorlandino, segretario generale della Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale «basta prelevare i primi 3 ml di liquido amniotico durante l'amniocentesi, una tecnica ormai sicura per la diagnosi pre-natale». Senza rischi aggiuntivi? «Assolutamente no» risponde Giorlandino. «Quando l'amniocentesi viene eseguita con attenzione abbinata a terapia antibiotica» sottolinea l'esperto «il rischio di aborto è addirittura minore rispetto a quello delle donne che non si sottopongono all'esame». Ma perché una mamma dovrebbe scegliere di crioconservare le staminali da liquido amniotico? «La conservazione del liquido amniotico permette di creare un patrimonio di cellule staminali, potenzialmente utili in futuro sia al bambino sia alla sua famiglia per le applicazioni legate alla medicina rigenerativa» spiega Giorlandino. Si coniuga così «la diagnosi prenatale con la possibilità di garantire al proprio bambino un campione di cellule di cui disporre in futuro». Il servizio di conservazione delle staminali presenti nel liquido amniotico è a pagamento (980 euro per 19 anni). Per conoscerlo ci si può rivolgere al proprio medico o direttamente al centro, che fornirà un apposito kit per la raccolta del campione biologico. Questo verrà poi rispedito e conservato nell'apposita banca del centro.



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