Lupus eritematoso sistemico, nuova terapia migliora la prognosi

12 aprile 2013
Interviste

Lupus eritematoso sistemico, nuova terapia migliora la prognosi



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Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire qualsiasi tessuto dell'organismo compromettendo in modo importante la qualità della vita dei pazienti. In particolare le donne che rappresentano 9 casi su 10. La terapia finora basata su farmaci efficaci, ma non specifici, vede oggi una novità che arriva dopo 50 anni di assenza di innovazione. Dica33 ha chiesto a Pierluigi Meroni, direttore di Reumatologia dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano, di spiegare in che cosa consiste e quali i vantaggi comporta.

Dottor Meroni, come viene tratta oggi questa patologia?
La terapia standard, finora utilizzata e tuttora considerata valida, si basa sull'uso di diverse classi di farmaci selezionati in base alla gravità e allo stadio della malattia. I pazienti possono essere trattati con farmaci antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti Fans, con antimalarici, con farmaci cortisonici o con immunosoppressori. Questi ultimi, in particolare, devono la loro efficacia al fatto che intervengono sul meccanismo autoimmune della malattia, sopprimendo cioè la risposta immunitaria del paziente, ma esponendolo così al rischio di infezioni. Anche la terapia con i cortisonici ha degli svantaggi, rappresentati dal fatto che sarebbe opportuno mantenere i farmaci al minimo dosaggio possibile, cosa che però non può essere garantita nei pazienti con malattia cronica attiva persistente, nonostante la terapia standard. In questi casi, infatti l'unico approccio possibile era l'aumento del dosaggio. Nel complesso, dunque, l'approccio con terapia standard continua a essere valido ma con dei limiti, ed è in questo scenario che si inserisce il nuovo farmaco.

In che cosa consiste questa novità terapeutica?
Si tratta di un farmaco specifico, cioè studiato appositamente per questa patologia, ed è un anticorpo monoclonale chiamato belimumab che agisce sul meccanismo della malattia. Riduce, infatti, l'eccesso di produzione di un fattore di crescita di alcune cellule del sistema immunitario, i linfociti b, che nei pazienti colpiti hanno la particolarità di produrre anticorpi che vanno a colpire erroneamente i tessuti dell'organismo. Il farmaco è stato pensato ed è stato approvato dall'Aifa, con indicazione proprio per quei pazienti in cui la terapia standard non é sufficiente e per il quale sarebbe necessario aumentare il dosaggio di cortisonici. In questi soggetti è oggi possibile migliorare la prognosi a lungo termine poiché la terapia abbassa l'attività della malattia e la tiene sotto controllo quando è già diventata cronica limitando così il danno ai tessuti ed evitando gli effetti collaterali del dosaggio alto del cortisonico. Chiaramente, più precoce è la diagnosi più efficace è l'intervento con la terapia. Ma non è facile cogliere i segnali.

Perché è difficile diagnosticarla? Quali sono i segnali d'allarme?
La difficoltà è rappresentata dall'aspecificità dei sintomi. Il Les può colpire diversi tessuti e organi, quindi i segni con cui si manifesta dipendono dal distretto interessato dall'attacco del sistema immunitario. Ecco perché potrebbe comparire una febbre senza una causa infettiva, un arrossamento della pelle che è il tessuto più spesso aggredito dal Les, o una perdita di capelli, dei dolori articolare ingiustificati, valori alterati della pressione qualora l'organo colpito fosse il rene fino ad attacchi epilettici o paralisi se il bersaglio degli anticorpi anomali è il sistema nervoso. Questi sono campanelli d'allarme, ma i dati clinici vanno sovrapposti con i risultati di esami più specifici.

Quali sono gli esami da eseguire?
La diagnosi certa si può porre con analisi del sangue che evidenziano la presenza di marcatori specifici della malattia. Si tratta di anticorpi, chiamati antinucleo, cioè auto-anticorpi diretti contro il nucleo delle cellule.

Simona Zazzetta



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