Geni a forma di cuore

11 luglio 2003
Aggiornamenti e focus

Geni a forma di cuore



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A tutti i ben noti fattori di rischio, fumo, alimentazione, sedentarietà, bisogna aggiungere un ulteriore elemento che può incombere sulla salute nonostante gli sforzi a condurre una vita sana: i geni. Non è un caso, infatti, che certe malattie cardiovascolari ricorrano in alcuni nuclei famigliari e che questo rappresenti un dato importante nell'anamnesi dei pazienti.

Colesterolo alto


L'ipercolesterolemia familiare presenta un deficit di recettori di LDL e nei pazienti con questo disturbo sono state identificate più di 600 mutazioni nel gene che codifica per il recettore. Un soggetto ogni 500 è eterozigote per almeno una di queste mutazioni mentre solo uno su 1 milione è omozigote. Gli eterozigoti producono metà del normale numero di recettori e con conseguente aumento del doppio o del triplo di LDL nel sangue. Negli omozigoti i livelli aumentano da 6 a 10 volte rispetto alla normalità con grave aterosclerosi delle coronarie; spesso il decesso per infarto del miocardio si verifica durante l'infanzia.
Quando il deficit interessa le lipoproteine che trasportano il colesterolo si osserva una riduzione della loro capacità di legare i recettori di LDL e quindi un rallentamento nella rimozione di LDL dal plasma. Questo comporta una ridotta attività di trasporto e dà origine a un aumento dell'assorbimento del colesterolo e della sintesi di LDL. Una persona su 1000 è eterozigote per questa mutazione e ha manifestazioni cliniche simili a chi ha mutazioni in eterozigosi che danno ipercolesterolemia familiare.
Esiste, infine, una rara malattia, l'ipercolesterolemia autosomica recessiva, dovuta alla presenza di un difetto in una proteina epatica che dovrebbe rimuovere il colesterolo dal plasma. Le mutazioni del gene che codifica per questa proteina fanno aumentare il livello di LDL da 6 a 10 volte rispetto alla normalità.

Alta pressione


Esistono numerose e rare forme di variazione della pressione sanguigna causate da mutazioni di un singolo gene che modificano in vari modi il controllo del bilancio dei sali a livello renale.
Una di queste mutazioni riguarda due geni che codificano entrambi per proteine localizzate nel nefrone, la cui azione incrementa il passaggio di ioni tra le cellule e il riassorbimento di sali. Si tratta di una malattia a carattere dominante (è sufficiente la mutazione in una copia del gene), lo pseudoipoaldosteronismo di tipo II, caratterizzata da ipertensione, incremento del riassorbimento dei sali e scarsa escrezione di ioni potassio e idrogeno. Esiste un'altra forma di aldosteronismo causata dalla duplicazione genetica che interferisce con la biosintesi degli steroidi prodotti dalle ghiandole surrenali. In questo caso si verifica un indebolimento della ritenzione di sale e della escrezione di ioni potassio e idrogeno e quindi un grave abbassamento della pressione sanguigna causata dal ridotto volume intravascolare.
Le mutazioni possono anche insorgere in geni che codificano per i canali renali degli ioni oppure per i trasportatori degli ioni, ed è ciò che accade nelle sindromi di Liddle, di Gitelman e di Barter. La precoce ipertensione nella sindrome di Liddle è causata da una mutazione del canale del sodio, mentre nei pazienti con la sindrome di Gitelman già dell'adolescenza si verifica l'abbassamento della pressione con sintomi neuromuscolari. Nella sindrome di Barter, invece, le anomalie sono a livello del riassorbimento del sale nell'ansa di Henle.

Vasi chiusi

Per una buona funzionalità cardiocircolatoria il sangue deve mantenere un grado di fluidità tale da non opporre resistenza al suo flusso e da non creare ostacoli come i coaguli o trombi.
La coagulazione, normalmente, avviene in seguito a una reazione a cascata che coinvolge molti fattori di controllo tra i quali il fattore V, codificato da un gene che può presentare una mutazione relativamente comune (2-7% nella popolazione europea e nel 20-50% nei casi di tromboembolia). E' una variante che impedisce la degradazione del fattore V e promuove la formazione di coaguli di sangue e quindi espone al rischio di infarto, ictus e trombosi venosa. L'80% dei soggetti omozigoti e il 10% degli eterozigoti per questa mutazioni sono destinati ad avere eventi trombotici.

Un cuore ipertrofico

Quando la mutazione colpisce i geni che codificano direttamente per le proteine dell'apparato contrattile del muscolo cardiaco si verificano delle miocardiopatie ipertrofiche caratterizzate da una marcata ipertrofia del ventricolo sinistro, ispessimento del setto ventricolare, allargamento dell'atrio e una riduzione della cavità del ventricolo sinistro. Le modificazioni interessano le proteine contrattili presenti nella fibra muscolare del cuore. Il profilo clinico dei pazienti varia rispetto al grado di ipertrofia e all'età della diagnosi; anche il tipo di proteina modificata può determinare tale variabilità e influire sull'esito della malattia.

Fuori tempo

Per le aritmie cardiache esistono dei fattori genetici che possono modificare la suscettibilità al disturbo. Per esempio, la presenza di una mutazione nel gene SNC5A, che contribuisce alla formazione dei canali del sodio nelle fibre del miocardio, modifica la contrattilità del muscolo, interferendo con la trasmissione dell'impulso, dando origine a diverse patologie tra cui la sindrome da intervallo QT lungo, e la fibrillazione ventricolare. Analogamente, una mutazione sui geni HERG, KVLQT1, minK e MiRP-1 raggiunge lo stesso risultato, impedendo, però, la formazione del canale del potassio.

Strumenti utili... alla ricerca

Nonostante queste informazioni siano oggi accessibili, la diagnosi genetica viene per lo più impiegata per un'analisi orientata alla ricerca. Si procede preferibilmente con una diagnosi clinica con esame fisico e test di routine come ecocardiogramma o elettroencefalogramma. Certo è che, per quanto si possano rimuovere i fattori di rischio ambientale, quando si eredita un gene "malato" la strategia è individuarlo e agire su un bersaglio ben preciso.

Simona Zazzetta



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