Non di solo colesterolo

19 gennaio 2005
Aggiornamenti e focus

Non di solo colesterolo



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Forse potrebbe cambiare un'abitudine che, anche se non antichissima, si era imposta. Per valutare l'effetto delle terapie anti-infarto, oltre al colesterolo è possibile vada controllato anche un altro elemento: i livelli di proteina C reattiva (in inglese CRP) che è un indizio di reazioni infiammatorie in atto. L'indicazione viene da uno studio che ha considerato un campione rispettabile di persone (più di 3700) che avevano già subito un infarto, o comunque avevano le coronarie malandate e, come prevenzione secondaria, assumevano statine per ridurre la colesterolemia. L'obiettivo della terapia era fissato nel mantenere il livello del colesterolo LDL al di sotto di 70 mg/dl. Contemporaneamente, però, veniva controllata la quantità di CRP nel sangue, stabilendo la soglia a 2 mg/l.

Ridurre la proteina ai minimi termini


Nelle persone che grazie al farmaco avevano un valore delle LDL inferiore a 70 mg/dl si presentavano meno infarti rispetto a chi superava la soglia: 2,7 infarti ogni 100 persone/anno rispetto a 4. D'altra parte, indipendentemente dai valori del colesterololo, si è osservato che quando la CRP era inferiore a 2 mg/l si assisteva a una riduzione significativa degli eventi acuti: 2,8 contro 3,9 sempre ogni 100 persone/anno. Combinando le diverse variabili, i ricercatori hanno potuto concludere che anche tra coloro che presentavano LDL ematiche superiori a 70 mg/dl, ma avevano la CRP più bassa del valore soglia, si riduceva il rischio e, a maggior ragione, il minor numero di infarti si registrava nei pazienti che avevano entrambi i parametri sotto controllo; in particolare, il numero minimo di infarti si otteneva con LDL inferiori a 70 mg/dl e CRP inferiore a 1 mg/l. Per trattare i pazienti erano stati impiegati due farmaci differenti a dosaggi differenti ma, secondo gli autori, più che quale farmaco si usa è importante riuscire a raggiungere i valori di sicurezza. Lo studio, dunque, conclude che quando viene trattato un paziente con le statine, per valutare l'efficacia del trattamento si dovrebbe controllare anche il livello della CRP.

Altre implicazioni allo studio


Però, se l'indicazione è forte, gli autori ritengono che questa vada per ora limitata alla prevenzione secondaria, cioè ai pazienti che, come quelli dello studio, o hanno già avuto un infarto oppure hanno una coronaropatia molto grave, nella quale il rischio che la situazione precipiti è molto forte. E per gli altri? Su questi aspetti sono in corso diverse ricerche, per esempio si sta valutando se trattare con questi farmaci anche le persone che, pur non avendo livelli patologici di colesterolo, presentano elevati livelli di CRP. Comunque pare ormai molto probabile che le statine non abbiano solo l'effetto di normalizzare i grassi nel sangue, ma presentino anche un'azione antinfiammatoria piuttosto spiccata e che proprio agendo su entrambi gli elementi (colesterolo e infiammazione) possano ridurre l'aterosclerosi. In questo senso un altro studio ha confermato che un trattamento aggressivo, cioè con dosaggi elevati, è in grado di rallentare la progressione dell'aterosclerosi, provando il risultato con esami ecografici. Lo studio era più piccolo del precedente, 502 persone, ma ha potuto comunque indicare che il trattamento aggressivo oltre al colesterolo riduceva in misura più sensibile anche la CRP.

Maurizio Imperiali



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