Nuove malattie o nuovi mercati?

14 febbraio 2003
Aggiornamenti e focus

Nuove malattie o nuovi mercati?



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Tutto ha avuto inizio nel maggio del 1997. In quei giorni medici, ricercatori e rappresentanti delle compagnie farmaceutiche si sono riuniti per due giorni presso un hotel di Cape Cod per trovare un accordo riguardo alla definizione, ancora mancante, di disfunzione sessuale femminile. Secondo un articolo del British Medical Journal si tratta di un limpido esempio di creazione, naturalmente sponsorizzata, di una nuova malattia. Quale altra impressione potrebbero dare, del resto, un gruppo di ricercatori con espliciti legami all'industria farmaceutica impegnati a definire una nuova categoria patologica in meeting sponsorizzati dalle industrie destinate a sviluppare i nuovi farmaci?

Genesi di una malattia


Diciotto mesi dopo, nell'ottobre del 1998, la prima conferenza internazionale sulla disfunzione sessuale femminile si è tenuta a Boston. I partecipanti, tutti esperti in campo urologico, scelti sulla base delle loro ricerche e della loro esperienza clinica, hanno partorito la nuova definizione e classificato tutta una serie di disturbi inerenti il desiderio, l'eccitazione, l'orgasmo e il dolore da utilizzare in ambito medico e psicologico. Ma - come sottolinea l'editoriale del Bmj - non va trascurato che la pubblicazione degli atti della conferenza ha richiesto il supporto economico di otto compagnie farmaceutiche e che 18 dei 19 autori della nuova definizione avevano legami economici o di altra natura con un totale di 22 aziende farmaceutiche. Gli anni successivi, poi, hanno visto ulteriori conferenze culminate nel 2000 nella creazione di un Forum permanente sulla Funzione Sessuale Femminile, con il contributo di 20 compagnie, tra cui spicca come sponsor chiave una nota compagnia farmaceutica di settore, anche se secondo un suo rappresentante con un ruolo passivo di sponsorizzazione richiesta dai medici. A questo pullulare di iniziative americane ha fatto da contraltare alle nostre latitudini una sessione della conferenza internazionale sulla disfunzione erettile, tenutasi a Parigi, esclusivamente dedicata alla disfunzione sessuale femminile. Un secondo capitolo è previsto per il giugno dell'anno in corso sempre a Parigi. Sul banco degli imputati, per l'articolo del Bmj, Irwin Goldstein, professore universitario presso la Boston University e convinto sostenitore di una nuova disciplina in ambito sessuologico perché - come ha dichiarato - "c'è così tanta gioia nel curare queste persone con successo".

Se la difficoltà diventa disfunzione


Ma c'è n'è anche per le riviste mediche. Un articolo di JAMA del febbraio 1999, infatti, ha contribuito notevolmente alla genesi del disturbo. Secondo questo fantomatico studio, due autori del quale sono legati all'industria produttrice di cui sopra, il 43% delle donne, in età compresa tra i 18 e i 59 anni, soffre di una disfunzione sessuale. Una cifra che da quel momento ha fatto ricorrentemente capolino nei messaggi pubblicitari di molte aziende farmaceutiche. Ma si tratta di una cifra fondata? Non ne sono così convinti alcuni medici americani consultati dal giornalista del Bmj. Tra questi una psichiatra, Sandra Leiblum, convinta che la disfunzione sessuale abbia una prevalenza molto inferiore e che il dato abbia contribuito ad una ipermedicalizzazione della sessualità femminile, dove un'alternanza nel desiderio sessuale è assolutamente normale. Rincara la dose John Bancroft, direttore del Kinsey Institute, per il quale il termine disfunzione è assolutamente ingannevole, dal momento che una inibizione del desiderio sessuale è, in molti casi, una risposta sana e funzionale a problemi della vita quotidiana come stress e stanchezza. Per dirla con le parole di un altro psichiatra americano interpellato non si può ridurre la sessualità solo ad una funzione genitale visto tutte le altre componenti in gioco.

Malattia sessuale cioè?

Mentre per gli uomini l'erezione rappresenta un parametro oggettivo di funzionalità sessuale per le donne manca un metro di riferimento analogo. Negli ultimi anni comunque una serie di nuovi metodi sono stati proposti tra cui: valutazioni che contemplano misure dei profili ormonali, del pH vaginale e della soglia di percezione di vibrazioni genitali nonché il ricorso a ultrasonografia per la misura del flusso sanguigno in varie zone dell'apparato genitale femminile. Può bastare? Sì, quantomeno per testare l'efficacia del sildenafil (il famoso viagra) su donne con disturbi sessuali legati all'eccitazione. Studi, sempre con sponsorizzazioni eccellenti, che hanno certificato un ruolo delle terapie mediche, non da sole naturalmente, nel trattamento dei disturbi sessuali al femminile. La risposta degli esperti reclutati dal Bmj è inequivocabile e propone una visione dei problemi sessuali nelle donne molto più articolata. Le cause sono divise in quattro categorie: socioculturali, nonchè economiche e politiche; di relazione; psicologiche e mediche. In definitiva il modello medico (riduzionismo biologico) che definisce cosa è sano e cosa è malato in un organismo non è del tutto aderente all'ambito sessuale, dove entrano in gioco altri fattori. Un merito, peraltro, viene riconosciuto dall'opinionista del Bmj, a questa campagna di medicalizzazione in corso e riguarda una umanizzazione del rapporto medico-paziente, nuovi farmaci più sicuri ed efficaci e una maggiore attenzione dell'opinione pubblica alla complessità dei problemi sessuali femminili. Il rischio però è che il sostanzioso coinvolgimento delle industrie farmaceutiche crei la corsa alla diagnosi, alla classificazione e alla prescrizione. Un rischio sempre più tangibile.

Marco Malagutti



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