Il parto a casa conviene, ma allo Stato

17 maggio 2006
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Il parto a casa conviene, ma allo Stato



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Magari non è noto all'opinione pubblica, ma l'attuale servizio sanitario nazionale italiano, deve molto a quello britannico, sia nella sua versione originale, del 1978, sia l'attuale con l'aziendalizzazione di USL e grandi ospedali. Per la verità, la riforma in senso aziendale, copiata dal libro bianco dell'era della signora Thatcher, è stata "venduta" dai politici italiani come una riforma che serviva a contenere i costi, mentre da sempre i britannici avevano sostenuto che non era quello lo scopo, della loro spesa erano soddisfatti, ma ridurre le liste di attesa. Fatto sta che tra i due sistemi, italiano e britannico, una certa consonanza c'è e, quindi, anche qualche motivo di allarme (o sollievo) quando Oltremanica sta cambiando qualche cosa.

Il ministro non dice tutto


Questa volta, c'è motivo di allarme. L'ultima trovata del ministro della salute del Governo Blair, Patricia Hewittt, ha lanciato la parola d'ordine che è meglio partorire a casa. Come racconta un bellissimo articolo della Stampa, Hewitt vuole promuovere il parto in casa. Secondo il settimanale britannico che ha fatto lo scoop, dal ministero giungerà una direttiva ai medici perché offrano a tutte le donne la possibilità di partorire in casa con l'assistenza di un'ostetrica e con un analgesico di scelta. Il ministro avrebbe poi precisato che oggi il parto in casa è una pratica sicura, che le preoccupazioni per le complicanze sarebbero state giustificate negli anni settanta, non ora. C'è però il sospetto che in realtà tanta disinvoltura dipenda dalla carenza di personale degli ospedali britannici, evidentemente usciti male dalla cura aziendalistica. E l'articolo della Stampa ricorda infatti che, sui giornali britannici, abbondano i resoconti di donne in gravidanza costrette a cambiare contea per il lieto evento a causa della carenza di posti letto. La circostanza verrebbe confermata anche dal fatto che in due ospedali di Londra, fatto assolutamente straordinario, sia stato proposto alle madri di poter essere seguite dalla stessa ostetrica durante la gestazione e il parto soltanto a fronte di un pagamento di circa 6000 euro.

Medici molto, ma molto cauti


I medici che dicono? Il Royal College of Obstetrician and Gynecologists ha dichiarato che "se si presenta una qualsiasi complicanza il posto più sicuro è di gran lunga il reparto maternità di un ospedale". Per carità, è vero che c'è tanta medicalizzazione, che magari non sempre sarebbe strettamente necessario ricorrere al forcipe o al parto cesareo, ma oggi, in tempi in cui si parla di contrattare la terapia con il proprio curante sembra arduo che una donna non possa esprimere le sue preferenze al ginecologo. Poi, se si bada al dato statistico, la mortalità neonatale e materna negli anni 1960 e 1990, si è ridotta dal 21.8 per mille nati al 4.6 per mille (riduzione del 78.9 %), e la mortalità materna dallo 0.7 per mille parti allo 0.04 per mille (riduzione del 94.3 %). Successivamente la riduzione è proseguita, giungendo nel 1997 al 4,21 per mille. E tutto questo è dovuto proprio alla medicalizzazione. Oggi anche i ginecologi italiani ritengono che il parto in casa non sia in sé pericoloso in assenza di qualsiasi fattore di rischio ma, appunto, in assenza. Anche un recentissimo studio europeo (svolto a Praga) definiva ingiustificati i rischi cui ci si espone con questa modalità. Un po' di cautela andrebbe poi mantenuta anche considerando che l'età media della prima gravidanza tende ad aumentare e questo non è certo un elemento che semplifica le cose. Peraltro, un tempo alcuni studi statunitensi misero addirittura in guardia dalle degenze troppo brevi.
Insomma, la libertà di scelta è una gran bella cosa, ma se domani arrivasse un incoraggiamento da parte governativa a partorire a casa, può darsi che gatta ci covi e che le ragioni siano ben altre. Quanto alla Gran Bretagna, è un peccato che un sistema sanitario un tempo esempio universale, ricorra a questo genere di operazioni di facciata, nelle motivazioni, ma pericolose nelle conseguenze. Un po' come la privatizzazione delle ferrovie, che a suon di incidenti il primo ministro Blair ha dovuto correggere in gran fretta. Chi vuole approfondire il tema (del servizio sanitario britannico, non delle ferrovie) può anche leggere un bel romanzo di Jonathan Coe, La famiglia Winshaw. Lì si spiega tutto...

Maurizio Imperiali



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