Sull'aborto è sempre scontro

30 maggio 2007
Aggiornamenti e focus

Sull'aborto è sempre scontro



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"La legge 194 sull'aborto non si tocca. E' una legge molto seria e rigorosa che vogliamo applicare in tutte le sue parti, perché non abbiamo scheletri nell'armadio". Si è espressa così in un convegno dedicato a questo tema, svoltosi all'Istituto superiore di sanità, Maura Cossutta, consigliere del ministro della Salute, per la Salute delle donne. Un modo per rispondere a tutti quei tentativi che periodicamente vengono avanzati dagli oppositori, per apportare modifiche alla legge. Uno dei temi più dibattuti è quello dell'aborto terapeutico, sul quale, dopo il caso del bimbo sopravvissuto a un aborto praticato all'ospedale Careggi di Firenze e poi morto, si è scatenata la bagarre politica. In discussione la soglia massima della 24esima settimana imposta dalla 194. E sull'aborto terapeutico si discute anche oltreoceano. Lo conferma un articolo del New England Journal of Medicine, pubblicato dopo che negli Stati Uniti è stato confermato il veto di effettuarlo con la tecnica definita di "partial birth abortion". Una tecnica utilizzata per gli aborti tardivi e che riguarda mediamente 2000 donne statunitensi ogni anno.

Le diverse posizioni


Una svolta, commenta il New York Times. Per molti anni, infatti, la lotta in materia di aborto è stata vista come la scelta tra due binari paralleli: la salute della donna o quella del feto. Ora con questo pronunciamento della corte suprema americana, di stretta misura (5 voti su 4), si sposano le idee dei movimenti antiabortisti, in particolare laddove si parla di inganno della donna sulle conseguenze fisiche ed emotive e si sostiene che l'interesse della donna stessa e del feto sia in realtà unico. Un'iniezione di fiducia per i movimenti antiabortisti che negli Stati Uniti trovano sempre più consensi. Il problema più enfatizzato nelle campagne anti-aborto è quello del consenso informato che in realtà non sarebbe tale. In risposta i sostenitori dell'aborto sostengono che si tratti di un tentativo di imporre una ideologia di stato nel rapporto medico-paziente. Le motivazioni, infatti, sono politiche, non scientifiche ne mediche.

Prima il giudice poi il medico


La situazione paradossale è che il medico in una condizione limite in cui scegliere se salvare la donna o il feto non può intervenire, pena sanzioni pesanti. Secondo gli antiabortisti d'altro canto aumentano le evidenze dei danni a lungo termine, sia psicologici sia fisici, della scelta di abortire. Danni che non si possono nascondere. E per rimarcare questo aspetto hanno presentato un documento nel quale si raccolgono le dolorose esperienze trentennali di 180 donne. Quanto al caso specifico dell'abolizione del "partial birth abortion" si tratta di una tecnica inaccettabile, dicono gli antiabortisti, visto che prevede, come recita il documento presentato alla suprema corte, "la parziale estrazione del feto e la perforazione del cranio". Una procedura orribile, inumana e mai necessaria, aggiungono. Questa politica antiabortista, finalizzata a enfatizzare la consapevolezza delle donne, sembra avere grossa presa sull'opinione pubblica. Il rischio, come sottolinea, il New York Times, è che il legislatore finisca per scegliere al posto del medico, laddove non esista una univoca posizione scientifica. Ma ne ha i mezzi?

Marco Malagutti



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