Iperglicemia da evitare

16 maggio 2008
Aggiornamenti e focus

Iperglicemia da evitare



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Il diabete mellito gestazionale, cioè insorto durante la gravidanza, è un fattore di rischio ben inquadrato per esiti sfavorevoli quali eccesso di peso fetale, parto traumatico o necessità di cesareo, dismetabolismi neonatali come bilirubinemia o glicemia in eccesso; la gravidanza stessa è associata a relative intolleranza glucidica e insulino-resistenza. Questo ha portato a raccomandare lo screening di tutte le gestanti per il diabete mellito e il trattamento di quelle con test di tolleranza al glucosio oltre le soglie stabilite, con revisioni proposte in seguito sui criteri di diagnosi di diabete gestazionale. Indipendentemente dalle definizioni, sta però emergendo che anche intolleranze glucidiche di grado minore possono aumentare il rischio di complicanze perinatali: uno studio canadese, per esempio, ha mostrato che valori del test più alti del normale, ma non abbastanza da essere classificati come diabete gestazionale, comportano esiti simili a quelli delle gestanti con i criteri del dismetabolismo. Elementi robusti a sostegno del fatto che rischi esistano già a livelli d'iperglicemia meno gravi di quelli considerati diagnostici giungono ora da uno studio internazionale dal disegno accurato e con la forza dei grandi numeri: più di 23 mila donne in gravidanza di nove paesi di quattro continenti. Si dimostra anzi che c'è una continuità di rischio, specie per alcuni esiti.

Eccesso di peso neonatale e più parti cesarei


Lo studio HAPO (Hyperglicemia and Adverse Pregnancy Outcome) si è rivolto a 25.500 donne in attesa, sottoposte tra le 24 e le 32 settimane di gravidanza a test di carico orale con 75 g di glucosio, selezionandone per l'analisi "in cieco" 23.300 con glicemia a digiuno di 105 mg/dl o glicemia due ore dopo il test inferiore i 200 mg/dl. Alcune di esse, quelle con valori glicemici da 140 a 200 mg/dl sarebbero dovute rientrare nei criteri di diabete gestazionale, ma essendo la loro iperglicemia considerata moderata si è ritenuto etico non sottoporle a trattamento. Si è calcolato il tasso di esiti avversi per incrementi di valore statistico (1 deviazione standard) della glicemia a digiuno, di quella un'ora dopo il test e due ore dopo. Rispetto al raggruppamento di obiettivi primari dello studio, è risultato un rischio aumentato di peso in eccesso alla nascita, livelli elevati di peptide C nel sangue ombelicale (indicativi dei livelli d'insulina fetali), parti cesarei e ipoglicemia neonatale direttamente proporzionale ai tassi glicemici materni, a digiuno o a un'ora dal test o a due ore. Non si è dimostrata in altre parole una soglia di incremento di rischio, e il tutto dopo aggiustamento per potenziali elementi confondenti, quali BMI materno o precedenti microsomia o diabete gestazionale. Associazioni significative con i valori glicemici delle madri, anche se tendenzialmente più deboli, sono risultate anche per gli obiettivi secondari, consistenti in parto prima della 37a settimana o difficoltoso o traumatico, iperbilirubinemia (da cui ittero), preeclampsia (ipertensione gravidica), necessità di cure intensive neonatali.

Vale anche come screening


Tutto questo significa, si domanda l'editoriale, che andrebbero abbassate le soglie per la diagnosi e il trattamento del diabete gestazionale? L'ipotesi è da sondare, anche se sembra difficile dimostrare che trattando intolleranze glucidiche meno severe si possano migliorare significativamente gli esiti. Anche perché nello studio l'associazione più marcata è stata con i livelli di peptide C, che di per sé non sembra clinicamente preoccupante, mentre gli esiti più preoccupanti, come la necessità del cesareo, aumentavano solo moderatamente con gli incrementi glicemici materni. Il giudizio prudente è quindi di aspettare che si dimostrino benefici clinici, prima di pensare a rivedere i criteri. Il diabete gestazionale però, si aggiunge in conclusione, ha ricevuto attenzione primariamente come elemento predittivo di futuro diabete delle stesse donne, e identificare quelle con probabilità di sviluppare la malattia offre la possibilità d'intervenire per ridurre questo rischio. Tra l'altro dati statunitensi indicano che tra il 1999 e il 2005 la prevalenza del diabete già preesistente nelle donne gravide da 20 a 39 anni è raddoppiata e nelle teenager è quintuplicata...

Elettra Vecchia



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