Obiettivo diagnosi precoce

12 luglio 2006
Aggiornamenti e focus

Obiettivo diagnosi precoce



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Sono passati cent’anni dalla prima descrizione di una grave demenza che prese il nome del suo scopritore, il neurologo tedesco Alzheimer, e da allora la malattia è aumentata enormemente (24 milioni di pazienti nel mondo di cui 500 mila in Italia, nel 2020 saranno il doppio), mentre la ricerca ha compiuto progressi ma è ancora lontana dall’aver trovato soluzioni diagnostiche e terapeutiche che consentano di arginarla. Si intensificano intanto gli studi sui meccanismi genetici e molecolari dell’Alzheimer nella speranza di trovare le chiavi per una diagnosi precoce, a livello preclinico, della patologia. Tra questi una ricerca condotta all’Erasmus Medical Centre di Rotterdam potrebbe addirittura aver individuato un modo per scoprire con un semplice esame del sangue il rischio di sviluppare la demenza. Gli autori olandesi, partendo da una coorte di 6.713 persone sottoposte a screening per Alzheimer e senza segni della malattia, ne hanno rianalizzate a distanza di anni 1.756, delle quali 162 avevano sviluppato nel frattempo la patologia: hanno così osservato che il rischio di demenza era dieci volte più elevato nei soggetti che presentavano alti livelli ematici della proteina beta-amiloide 1-42 specie se contemporaneamente a basse concentrazioni di beta-amiloide 1-40. Queste molecole, come noto, a livello cerebrale si aggregano in fibrille e formano placche che portano alla degenerazione neuronale e sono quindi responsabili della patologia: l’ipotesi, tutta da verificare, è che alte concentrazioni ematiche della 1-40 possano riflettere alte concentrazioni cerebrali, mentre per la 1-42 sembra che nel topo bassi livelli nel cervello si leghino ad alti nel sangue. Inoltre le associazioni osservate erano indipendenti dalla presenza dell’allele e4 dell’apolipoproteina E, un fattore di rischio per la malattia, e simili per la demenza di Alzheimer e quella vascolare. I risultati, se confermati da ulteriori studi, potrebbero permettere di identificare persone a rischio di ammalarsi attraverso questo marker, in combinazione con altri.

Bloccare la fibrillogenesi


Un’altra ricerca, dell’Università di Washington a Seattle, ha accertato l’esistenza di un’associazione tra invecchiamento, presenza dell’allele APOE 4 e concentrazione di beta-amiloide A 1-42 nel fluido cerebrospinale: analizzando 184 volontari di mezz’età senza segni di malattia si è visto che in quelli con l’allele predisponente la proteina 1-42 diminuiva in modo accelerato già da quella fase della vita, in anticipo di decenni rispetto alla manifestazione clinica dell’Alzheimer, e anche quest’aspetto potrebbe contribuire alla diagnosi precoce. Un’ulteriore interessante spunto deriva da un studio sugli embrioni di riccio di mare, che avrebbero somiglianze biochimiche con quelli dei mammiferi. Lo studio, condotto da ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) di Palermo, analizzando il meccanismo di formazione delle fibrille di beta-amiloide ha osservato che i responsabili primi della malattia sarebbero aggregati più piccoli, gli oligomeri, che sono tossici (inducono la morte cellulare o apoptosi ) e contro i quali la formazione di fibrille potrebbe costituire un meccanismo di difesa dell’organismo; l’obiettivo sarebbe allora individuare sostanze in grado di bloccare precocemente la fibrillogenesi.

Elettra Vecchia



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