Non soffrire è un diritto

09 aprile 2010
Aggiornamenti e focus

Non soffrire è un diritto



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di Marco Malagutti

«Questa legge è una pietra miliare, perché tutela chi soffre e garantisce un rapido e omogeneo accesso alla terapia del dolore e alle cure palliative». Senza mezzi termini Guido Fanelli, coordinatore della Commissione ministeriale sulla terapia del dolore e cure palliative, manifesta il suo compiacimento per la legge appena approvata. Un significativo passo avanti verso una normativa più organica e civile in materia di terapia del dolore, dove l'Italia, come noto, scontava ritardi inaccettabili. Ma quali sono i cambiamenti più importanti che sono stati introdotti?

«Si tratta di una vera e propria rivoluzione» spiega Fanelli «e basta scorrere le prime righe del testo per rendersene conto, laddove si dice che "la presente legge tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore". Una tutela che ad oggi mancava, così come un passo avanti determinante è la considerazione del dolore non più come un sintomo ma come una malattia: mina l'integrità fisica e psichica del paziente, con un notevole impatto negativo sulla qualità della vita, la capacità lavorativa e le relazioni sociali. E, come tale, va curata». Da oggi sarà più facile? In che modo? «Innanzitutto con l'istituzione di reti, una per le cure palliative e una per la terapia del dolore, che garantiscono la continuità assistenziale per il paziente. Una rete di hospice e strutture, creata a partire da quelle già esistenti sul territorio. In più non è da sottovalutare il ruolo sempre più centrale svolto dal medico di famiglia. Un ruolo di monitoraggio e di comunicazione». Peraltro secondo una ricerca della Società italiana di medicina generale (Simg) un paziente su tre va proprio dal medico di famiglia per patologie causa di dolore cronico. L'indagine ha rivelato che circa il 27% degli assistiti soffre di una malattia importante associata a dolore cronico. «Un altro aspetto di svolta è scritto nell'Art. 7 della legge, dove si indica l'obbligo di rilevare all'interno della cartella clinica il dolore del paziente, le sue caratteristiche e la sua evoluzione nel corso del ricovero». Prima non esistevano indicazioni di questo tipo? «Assolutamente no. Oltretutto il paziente ha strumenti di rivendicazione, perché il medico che non fa questo è fuori dalla legge».

La legge definisce anche in modo inequivocabile la differenza tra cure palliative e terapia dei dolore. Nel primo caso si parla di interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, finalizzati alla cura attiva dei pazienti la cui malattia non risponde più a trattamenti specifici. Nel secondo, invece, si fa riferimento a interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie per la soppressione e il controllo del dolore. Forme di dolore non necessariamente legate a malattie tumorali. In questo senso l'indagine Simg è emblematica, visto che la malattia più frequentemente associata dai pazienti al dolore cronico è l'artrosi. Ma non c'è il rischio che sia una legge manifesto? «Il rischio» risponde il coordinatore della Commissione Ministeriale «è scongiurato dall'esistenza dell'Art. 9, in base al quale il ministero deve monitorare che la legge sia applicata e redigere un rapporto, entro il 31 dicembre di ciascun anno, finalizzato a rilevare l'andamento delle prescrizioni di farmaci per la terapia del dolore e a monitorare lo stato di avanzamento delle due reti su tutto il territorio nazionale». Le ultime indagini dell'Associazione italiana di oncologia medica segnalano che sebbene le cure domiciliari e la terapia del dolore siano notevolmente migliorati in Italia, l'uso dei farmaci oppioidi resta ancora inadeguato. Spesso anche per una certa resistenza dei pazienti. Basta una legge a risolvere anche il problema culturale? «Di sicuro non basta, ma con il contributo della classe medica, dei farmacisti e delle campagne informative del ministero, i passi avanti verso una svolta culturale sono assicurati». Un ultimo punto toccato dalla legge riguarda le cure palliative ai bambini «È la prima legge in Europa ad aggiungere un riferimento alle cure palliative pediatriche» sottolinea con orgoglio Fanelli «la legge garantisce dignità di accesso anche ai bambini ed è un grande contributo sociale».



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