Giocare d'anticipo sul rischio alto

20 luglio 2007
Aggiornamenti e focus

Giocare d'anticipo sul rischio alto



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Il bagaglio familiare che ci si porta dietro per tutta la vita può essere fin troppo pesante quando contiene anche il rischio di malattie, soprattutto per quelle in cui l'ereditarietà è stata ampiamente dimostrata. Il tumore al seno è una di queste e la predisposizione dipende dalla presenza di casi nella parentela, più o meno prossima, e in più generazioni, oppure da mutazioni dei geni BRCA (BRCA1 e BRCA2) trasmesse da uno dei due genitori.

Mani diagnostiche


Per quantificare il rischio e di conseguenza decidere la strategia per ridurlo esistono diversi modelli empirici in cui si inseriscono elementi critici come l'età, la storia familiare, i fattori riproduttivi, il numero di biopsie, l'altezza, il peso, l'etnia. Ciò che ne emerge è un valore con cui procedere alle successive valutazioni di approccio, ma l'affidabilità di questi metodi non è mai stata completamente riconosciuta e limitata solo a certe etnie. Gli strumenti operativi, questi, invece, molto utili per monitorare lo stato di salute del seno, sono l'autopalpazione o eseguita dal medico, la mammografia, la risonanza magnetica e l'ecografia. Ma l'efficacia della prevenzione, attuata con uno o più di questi metodi, non è sempre elevata e dipende dalla predisposizione genetica alla patologia. Per esempio, alcuni studi condotti su donne a medio rischio non hanno rilevato una particolare riduzione della mortalità per tumore al seno in seguito all'autopalpazione, tuttavia aumentava il numero delle biopsie eseguite. Lo stesso esame eseguito dal medico, in una popolazione analoga, ha dimostrato, in tre ampi studi, di poter rilevare dal 3 all'8% dei tumori, percentuale che scendeva a 0-4% in donne con predisposizione genetica.

Guardare attraverso


Risultati di prevenzione migliori si ottengono con la mammografia, che nella popolazione generale riduce la mortalità per tumore al seno del 16%, del 22% tra le donne di 50 anni e del 15% tra le donne tra i 40 e 49 anni. In uno screening su 18 mila donne, l'84% dei tumori invasivi rilevati nello screening erano più piccoli di 2 cm e il 66% erano negativi all'esame dei linfonodi. Tuttavia, il 29% dei tumori diagnosticati erano comparsi tra un esame e l'altro (tumore di intervallo), in particolare nelle donne sotto i 40 anni con familiarità alla patologia dimostrando una bassa sensibilità in questa sottopopolazione che si presenta con una densità maggiore del tessuto ghiandolare e con una velocità di evoluzione della malattia più alta. Il metodo è poco adatto anche a donne portatrici di mutazioni BRCA, anche se viene comunque raccomandato tra i 25 e i 30 anni, periodo in cui il rischio inizia ad aumentare. In assenza della mutazione, alle donne con casi di tumore al seno in famiglia si consiglia di iniziare la mammografia annuale 5-10 anni prima dell'età a cui la malattia è stata diagnosticata al familiare colpito. La sensibilità della mammografia può essere aumentata dall'ecografia che identifica un significativo numero di tumori radiograficamente invisibili.

Imaging e bisturi

La diagnostica per immagini con risonanza magnetica (MRI) ha una sensibilità decisamente maggiore: in studi con donne portatrici di mutazioni del gene BRCA, la MRI aveva rilevato dal 64 al 100% dei tumori, la mammografia e l'ecografia dal 16 al 40%. Inoltre limitava i casi di tumore di intervallo a meno del 10%, ma nonostante ciò, poiché in alcuni studi un numero di casi è sfuggito alla MRI ma non alla mammografia, si consiglia di non sostituire quest'ultima ma piuttosto di supportarla con l'imaging.
Per le popolazioni a rischio per familiarità o per la presenza di mutazioni BRCA, è possibile prendere in considerazione anche misure preventive di cui è stato, ma non sempre, dimostrato il beneficio. Si tratta però di interventi piuttosto invasivi e non senza conseguenze o effetti collaterali. L'approccio farmacologico, infatti, passa attraverso i chemioterapici, tamoxifene e raloxifene, ma il rischio di tumore all'utero e tromboembolismo viene, in misura diversa, aumentato. Studi caso controllo hanno dimostrato che l'assunzione per tre anni di contraccettivi orali riduce del 60% il rischio di tumore al seno, ma in altri lavori è stato dimostrato un aumento del rischio in donne con BRCA1 e BRCA2. L'atro approccio è la chirurgia. L'asportazione delle ovaie, riduce dell'80-96% i tumori ginecologici BRCA-associati e del 50% i tumori al seno, inducendo però la menopausa prima del tempo con una riduzione della qualità della vita. La chirurgia riduttiva sul seno riduce del 90% il rischio in portatrici di mutazione, ma comporta scompensi a livello psicologico, mitigabili da tecniche di ricostruzione. Questo tipo di prevenzione va ampiamente discusso e valutato caso per caso, in particolare per le donne a rischio, per le quali l'American Cancer Society raccomanda innanzitutto di iniziare lo screening a 25-30 anni con risonanza magnetica in aggiunta alla mammografia.

Simona Zazzetta



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