Uffici patologici

23 novembre 2007
Aggiornamenti e focus, Speciale Schiena in forma

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"La scienza moderna ci porta a una concezione del tutto nuova di mal di schiena. Come il comune raffreddore, il dolore invalidante alla schiena è una condizione intermittente e ricorrente della vita di un essere umano. Raro che un adulto passi un anno intero senza un episodio di dolore acuto alla schiena. Per la maggior parte delle persone, gli episodi, per quanto importanti, passano da soli in un tempo tutto sommato rapido. Ma per alcuni, la minoranza, guariscono molto lentamente e mettono il paziente di fronte a sfide biomeccaniche quotidiane". Lo ha dichiarato in un recente editoriale pubblicato su Jama, Nortin M. Hadler. Un fenomeno quello rappresentato, che è da attribuire in gran parte al modello sociale e lavorativo contemporaneo. Già, perché con il lavoro d'ufficio pressoché sistematico, il mal di schiena è diventato all'ordine del giorno per molti lavoratori. E i numeri appena forniti dall'ISPESL sono lì a confermarlo. Quasi il 24% dei lavoratori provenienti dai 25 paesi dell'UE riferisce di soffrire di mal di schiena. E non si tratta solo di sofferenza e perdita in termini di salute ma anche di guadagno, con costi più elevati per le imprese e le economie nazionali. Come sottolinea l'editoriale di JAMA "Ingenti risorse economiche vengono spese nel tentativo di guarire la schiena danneggiata, nel domandare al lavoratore prove cliniche della sua disabilità, nel tentativo di dimostrare al lavoratore che il suo mal di schiena non è poi così disabilitante, nell'accusare il lavoratore di posticipare senza motivo il suo ritorno al lavoro". Del problema mal di schiena, dei suoi riflessi sul lavoro e in particolare del rientro dopo un periodo di assenza si è occupata una review sul giornale dell'American Academy of Family Physician.

Presto è meglio


La gestione del mal di schiena e la definizione di quando sia possibile per il paziente ritornare al lavoro, premette lo studio, sono questioni piuttosto comuni per i medici di famiglia. Le questioni in ballo sono tante e vanno dalla poca familiarità alle domande poste dal paziente, ai complicati sistemi di compensazione dei lavoratori fino alla larga gamma di interventi diagnostici e terapeutici con effetti e valore discutibile. Gli obiettivi dell'articolo sono di incoraggiare le cure conservative nei pazienti col mal di schiena occupazionale non specifico, nonché di promuovere un ritorno al lavoro tempestivo e di prevenire una disabilità prolungata. Del resto, sostengono gli autori, almeno il 90% delle persone con questo problema potrebbero tornare al lavoro in tempi relativamente brevi. E con poche semplici raccomandazioni. Rimanere attivi quanto più possibile, non stare troppo a letto, usare ghiaccio, blandi analgesici se necessario, fare esercizi, e il più è fatto. La morale dei medici americani è presto detta. I pazienti con un mal di schiena non specifico possono tornare al lavoro in breve e quando sono ancora sintomatici. Non è necessario aspettare che il dolore sia scomparso, il ritorno al lavoro, infatti, non aumenta il rischio di ricadute e, anzi, oltre a ridurre i giorni persi, riduce anche il dolore cronico e la disabilità. Musica per le orecchie dei datori di lavoro. E se l'assenza perdura si possono mettere in campo programmi di riabilitazione multidisciplinari. Dalla riabilitazione fisica, a quella professionale, dagli interventi biopsicosociali a quelli medici. Le soluzioni a disposizione sono parecchie, perciò, fermo restando come sottolinea l'editoriale di Jama che "un posto di lavoro è confortevole quando i lavoratori sono messi in grado di mantenere un ottimale stato di salute, di guarire tranquillamente quando soffrono di una patologia, quando si apprezza l'umanità di ciascun individuo". Quanti lavoratori si riconoscono in questo ritratto?

Marco Malagutti



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