Quando operare non serve

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Quando operare non serve



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Ogni anno in Italia circa 71.000 persone, soprattutto bambini, si sottopongono all'operazione di rimozione chirurgica delle tonsille palatine (tonsillectomia). Si tratta di un intervento ormai di routine che, tuttavia, non deve essere sottovalutato. È effettuato in anestesia generale, cosa che comporta di per sé alcuni rischi, ma la principale complicanza della tonsillectomia è la possibilità di emorragie postoperatorie anche gravi. Circa il 2% dei pazienti operati, infatti, manifesta un sanguinamento, nella metà dei casi esso si risolve da solo; sul restante 50% di soggetti, invece, occorre intervenire chirurgicamente per cauterizzare. Le infezioni delle prime vie respiratorie si verificano, nei bambini al di sotto dei 6 anni, con una frequenza doppia rispetto alla popolazione generale. Parallelamente la tonsillectomia rappresenta il 50% di tutti gli interventi chirurgici maggiori eseguiti sui bambini, pur con ampie variazioni storiche e geografiche.
Ma l'intervento è sempre necessario? I dati epidemiologici sono controversi e sottolineano quanto sono numerosi i fattori che influenzano la decisione del medico. Tonsilliti ripetute in tempi brevi (4 in un anno o 7 in due anni) suggeriscono, in genere, l'asportazione delle tonsille, per evitare che il focolaio possa propagarsi ad altri organi interni. Tuttavia dopo i 6 anni d'età, l'incidenza delle infezioni delle alte vie respiratorie regredisce notevolmente, le tonsille stesse subiscono una fisiologica involuzione, diminuendo di volume, quindi i rischi connessi scompaiono.

In America è stata un best seller


Uno dei primi classici esempi di confronti internazionali è fornito da Pearson ("Hospital caseloads in Liverpool, New England and Uppsala", Lancet 1968; 559-566) che, nel 1968, analizza le casistiche ospedaliere di tre regioni dell'Inghilterra, della Svezia e degli Stati Uniti, dimostrando che la frequenza di tonsillectomie e di adenoidectomie negli USA è superiore di due volte rispetto a quella inglese e di quattro volte rispetto a quella svedese. Tolte le distanze geografiche, i tre campioni di popolazione considerati hanno stili di vita piuttosto simili, quindi appare difficile sostenere che gli Americani siano tanto più malati da giustificare un tale esubero di interventi chirurgici.
Nel 1991 uno studio a posteriori ("Iatrogenic influences on the heritability of childhood tonsillectomy: cohort differences in twin concordance" Acta Genet Med Gemello 1991;40(2):165-72) su 3800 coppie di gemelli adulti ha confrontato le casistiche di tonsillectomie subite prima dei 18 anni. I soggetti nati negli anni '40 e nei primi anni '50 mostravano un'incidenza di interventi paragonabile, con la differenza che i gemelli omozigoti venivano operati entrambi, gli eterozigoti no. Questo dato sembrava sottolineare l'importanza della componente genetica quale predisposizione alla tonsillectomia. Negli anni '50 però la tendenza s'inverte: i fattori ambientali diventano determinanti (60%), mentre a quelli genetici si possono attribuire solo il 29% degli interventi. Negli anni '60 la situazione si capovolge nuovamente, 82% ereditarietà contro 10% variabili esterne; quindi il patrimonio genetico, e quindi le condizioni obiettive di salute, contano sicuramente, ma viene spesso sovrastato da altre componenti ambientali e culturali.
Più recenti i dati di uno studio canadese che ha analizzato gli interventi di tonsillectomia eseguiti nello stato di Manitoba dal 1984 al 1994. La media annuale è risultata di circa 2000 interventi con, però, notevoli differenze tra regioni e gruppi di pazienti. La maggioranza degli interventi sono avvenuti in grandi ospedali, ad opera di medici specialisti nelle patologie di naso e gola. Il 25% delle operazioni, invece, è stato compiuto da chirurghi generici e il 6% in piccoli ospedali rurali. Nella prima infanzia vengono operati più i maschi, ma le femmine recuperano durante l'adolescenza superando addirittura del 39% i loro compagni. Gli Indiani, invece, subiscono in genere meno interventi, anche nella prima infanzia, sebbene l'incidenza di tonsilliti in questo gruppo sia più elevata. Contrariamente alle aspettative, la percentuale di interventi è del 20% più elevata negli abitanti delle aree rurali rispetto a quelli residenti nella capitale, nonostante questi ultimi godano sicuramente di un accesso più facile a medici specialisti. Negli otto distretti sanitari considerati, la differenza tra quello con il minor numero di interventi e quello con la casistica più elevata è del 78%, decisamente eccessiva perché sia imputabile a diverse condizioni di salute. Se ne deduce che in alcune regioni, se non addirittura in singoli ospedali, la necessità dell'intervento chirurgico è sovrastimata, e si tende a praticare l'asportazione delle tonsille anche quando non sarebbe proprio necessaria.

E qualche volta la tonsilla tolta è normale


Conferma questa conclusione uno studio pubblicato lo scorso anno ("The histopathology of routine tonsillectomy specimens: results of a study and review of literature" Ear Nose Throat J 2000 Nov; 79(11):880) che ha raccolto gli esami istologici di 400 tonsille, asportate da 200 pazienti. Dai campioni analizzati sono emersi questi dati: il 68,3% dei reperti mostravano iperplasia linfoide, il 13,5% iperplasia follicolare, il 10% tonsillite acuta o cronica, il 7,5% erano normali. Scopo, raggiunto, dello studio era dimostrare che l'esame istologico di routine è superfluo, e quindi eccessivamente costoso, nei casi di tonsillectomia. La maggior parte degli interventi, infatti, è risultata ampiamente motivata da condizioni patologiche; tuttavia il 7,5% delle asportazioni si poteva evitare.
In conclusione l'asportazione delle tonsille, come qualsiasi altro intervento, non deve mai essere una decisione precipitosa, motivata solo dallo stato di salute del momento, ma va sempre valutata in termini di rischi e benefici, sia presenti che futuri, effettivamente presenti.

Elisa Lucchesini



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