Psicofarmaci in pediatria

20 giugno 2008
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Psicofarmaci in pediatria



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Tra i disturbi più "difficili" dell'infanzia, quelli della sfera neuro-psicologica, sono ancora fonte di discussione. Un esempio recentissimo è il disturbo conosciuto come: "sindrome da deficit di attenzione e iperattività" (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder - AD/HD). Questa malattia è più frequente di quanto si possa pensare. L'esordio è precoce e avviene già nell'età prescolare, ma fino ai primi anni delle elementari si possono identificare un numero di bambini affetti che è pari al 3-5% della popolazione scolastica. I motivi della confusione e della contesa sono essenzialmente due. La malattia si presenta con manifestazioni contrastanti e in certi casi s'impone il trattamento con psicofarmaci.

Scolari disattenti, bambini disobbedienti


Ci sono due aspetti fondamentali di questa forma che sono stati finalmente identificati: da un lato la mancanza d'attenzione e dall'altro l' iperattività. Il primo si manifesta nelle attività scolastiche, nei giochi e in tutte le attività di relazione quotidiane e si può riassumere come una incapacità di concentrazione che spesso viene scambiata per distrazione o svogliatezza. Il secondo aspetto, invece, è caratterizzato da una specie di continua agitazione: il bimbo fatica a stare fermo e seduto oppure si muove freneticamente col rischio di farsi del male o ancora, interrompe i suoi discorsi a metà. Insomma, succede che secondo il parere degli insegnanti: "il bimbo è intelligente, ma non si applica a sufficienza" oppure: "il bimbo è troppo vivace e disturba i compagni ". Al di là di ogni possibile discorso teorico e inutile, resta il fatto reale che quando un insegnante segnala questi problemi ai genitori è bene non lasciar passare troppo tempo prima di parlarne col pediatra che indirizzerà bimbo e genitori verso gli specialisti del caso. Infatti, secondo la tendenza della psichiatria europea e secondo quella italiana in particolare, queste forme neuro-psicologiche dell'infanzia, si affrontano bene con la terapia neuro-psico-motoria integrata sia del bambino sia della famiglia. Ma la situazione, quando trascurata, può protrarsi e quindi, sempre in ambiente ultra-specialistico, è possibile che si debba ricorrere ad un trattamento farmacologico. Inoltre, se gli aspetti comportamentali di questa malattia sono ben classificabili e prevedibili, ancora troppo poco si conosce sulle possibili cause.

Uno psicofarmaco in età pediatrica?


Il problema del trattamento farmacologico di queste psico-patologie dell'infanzia è molto complesso e, in Italia, non ancora risolto. La sostanza che da più parti è stata segnalata come l'unica efficace è il metilfenidato (conosciuto universalmente col nome commerciale di Ritalin). Si tratta, paradossalmente, di uno psicostimolante che in questi casi risveglia l'attenzione e placa l'eccitazione. L'azione del farmaco e diretta al sistema nervoso centrale dove si esplica maggiormente a livello delle parti terminali di comunicazione tra i neuroni (zone sinaptiche) e permette il blocco del rilascio e della riutilizzazione (recupero) della dopamina (uno dei neurotrasmettitori centrali coinvolti nelle risposte eccitatorie). Fermo restando, che la via farmacologica va intrapresa solo per le forme che non rispondono ai trattamenti psicoterapeutici multidisciplinari, i problemi per il metilfenidato rimangono essenzialmente due. Per prima cosa il farmaco in Italia è stato ritirato dal commercio nel 1989 su richiesta della stessa casa farmaceutica che lo produce.
E per seconda cosa, c'è ancora una certa resistenza per la somministrazione di questa classe di farmaci ai bambini. Comunque, una volta intrapresa la terapia farmacologica, sempre sotto stretto controllo dello specialista, il farmaco è efficace e sicuro. Il trattamento va personalizzato, poichè la risposta può essere diversa e date le caratteristiche chimiche della sostanza, in genere si deve assumere più volte in una giornata. Il periodo di trattamento è pure variabile, ma nei paesi dove il farmaco è in commercio, i risultati di molti studi clinici assicurano il successo sia per trattamenti a breve termine sia per quelli che vanno protratti.
Insomma, il problema del farmaco resta aperto solo temporaneamente in Italia, dove per altro sono ancora insufficienti le strutture specialistiche di sostegno per tutte le patologie neuro-psichiatriche.

Patrizia Maria Gatti



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