Terapia che non funziona si cambia

29 marzo 2006
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Terapia che non funziona si cambia



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L'introduzione dei farmaci inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) ha rappresentato un'importante opportunità per intervenire efficacemente nei casi di depressione. Il disturbo è caratterizzato da anomalie nella comunicazione cellulare, nella sopravvivenza di neuroni e di gruppi di neuroni, nella connessione tra regioni cerebrali e nell'attivazione di reti di segnali. E' stata proprio la scoperta di questi meccanismi, sui quali agiscono i farmaci, che ha riportato la depressione ad avere la dignità di una malattia e l'attenzione che le compete. Un importante contributo a questa corrente della ricerca psichiatrica è stato offerto dal National Institute of Mental Health, che ha promosso e sovvenzionato il più grande, e più lungo, studio sulla depressione, con oltre 4000 pazienti. Lo studio STAR*D, Sequenced Treatment Alternatives to Relieve Depression, in una prima fase, ha dimostrato che circa il 30% dei pazienti ottiene la guarigione cioè la scomparsa dei sintomi usando gli SSRI, il citalopram, nel caso specifico, somministrato a dosi piene e per periodi prolungati.

Aggiungere o sostituire


Tuttavia, quando non si ottengono i risultati sperati, la strategia terapeutica può seguire due direzioni, in un caso si può aumentare la dose di farmaci, affiancando un altra molecola (augmentation), in un altro si può passare a un altro farmaco (switching). Nonostante questa sia spesso la pratica clinica, non ci sono molti studi randomizzati e controllati che ne confermino la validità scientificaInfatti è proprio su questo aspetto che si è focalizzato il livello 2 dello STAR*D, ponendo l'attenzione su quella parte del campione che non aveva avuto risultati cioè, tecnicamente, che non aveva raggiunto la remissione dei sintomi. Il lavoro si è infatti articolato in due studi distinti, in cui venivano verificate le due possibilità terapeutiche di seconda linea. L'obiettivo è ambizioso, perché tra gli esiti cercati non si parla di miglioramento ma di vera e propria guarigione, misurata da un punteggio ottenuto con una scala specifica per la depressione.I pazienti presi in considerazione avevano caratteristiche ben precise, proprio per ridurre gli effetti di una variabilità incontrollata: soffrivano di depressione maggiore senza sintomi psicotici.Per valutare la validità dello switching, sono stati selezionati circa 700 soggetti che o non ottenevano risultati o erano intolleranti al citalopram. Sono stati avviati a un regime di 14 settimane che prevedeva l'assunzione delle dosi massime giornaliere di bupropione a rilascio sostenuto (239 pazienti) o di sertralina (238 pazienti) o di venlafaxina a rilascio prolungato (250 pazienti). La remissione si otteneva nel 25% circa dei casi, considerando tutte le misurazioni eseguite (Hamilton Rating Scale for Depression, Quick Inventory of Depressive Symptomatology)L'augmentation è stata invece adottata nel campione di 850 pazienti che, dopo quasi un anno di citalopram, non risolvevano il problema. Nel regime farmacologico di circa 550 soggetti è stata aggiunta una dose giornaliera di bupropione, nei rimanenti una dose giornaliera di buspirone. Anche in questo caso, con entrambi i farmaci, il successo è stato ottenuto nel 30% circa dei pazienti, con un leggero vantaggio del bupropione.

L'altra faccia della speranza


Sono dati incoraggianti che supportano il trattamento della depressione maggiore con farmaci che garantiscono, nella peggiore delle ipotesi, il 25% di successo. Vale a dire che, se con la prima linea di intervento, cioè con un inibitore del reuptake della serotonina, non si ottengono i risultati sperati (per mancata risposta o per intolleranza) si può aggiungere un altro farmaco e avere la guarigione in un caso su tre, oppure sostituirlo con un altro SSRI e ottenere il successo in un caso su quattro. Il rovescio della medaglia è che almeno la metà dei pazienti depressi resta senza una soluzione definitiva e che, se risultano efficaci farmaci con meccanismi d'azione diversi (bupropione e buspirone non sono SSRI), si deduce che i meccanismi che provocano la depressione è tutt'altro che uguali per tutti i pazienti. E se entrano i gioco fattori genetici e ambientali, si spiega perché nella metà dei casi il problema non si risolva.

Simona Zazzetta



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