Cuori atletici azzurri ben tutelati

20 ottobre 2006
Aggiornamenti e focus

Cuori atletici azzurri ben tutelati



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Non è poi così raro leggere di sportivi che vanno incontro a una morte apparentemente inspiegabile sul campo di gara. Però, molto raramente si tratta di atleti italiani. La ragione sta nel fatto che già dal 1982 in Italia per gli atleti che fanno pratica agonistica, quindi competizioni, è obbligatoria per legge una valutazione clinica completa di elettrocardiogramma e, all'occorrenza, ecocardiogramma. In questo l'Italia ha avuto un ruolo pionieristico: anche negli Stati Uniti, per esempio, non esiste una norma analoga. Ora, forte di 25 anni di osservazioni, uno studio italiano, comparso su JAMA, trae un bilancio di questa esperienza, ed è più che positivo. La ricerca si deve al gruppo del professor Gaetano Thiene, cardiologo, anatomopatologo e direttore dell'Istituto di anatomia patologica dell'Università di Padova.

Autopsie e screening


Come spiega il professor Thiene, "in realtà vi sono state due ricerche parallele. Una, di tipo anatomo-patologico, è stata condotta sull'intera Regione Veneto. Tutte le persone decedute improvvisamente in giovane età (da 12 a 35 anni di età) sono state sottoposte a un esame post-mortem. In questo modo abbiamo studiato 300 vittime, 55 delle quali erano atleti. Questo ci ha permesso di stabilire lo spettro delle malattie cardiovascolari, la causa precisa della morte ma anche di scoprire nuove malattie, come la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, rivelatasi il principale killer in Italia. A questa indagine se ne è affiancata una in vivo: qui a Padova abbiamo sottoposto allo screening obbligatorio circa 42 mila atleti. Le due ricerche si sono svolte dal 1979 al 2004". E' emerso che, grazie allo screening, la mortalità tra gli agonisti si è ridotta dell'89%, passando da 1,9 su 100.000 a 0,4 su 100.000, mentre è rimasta costante nei non atleti (0,79 per 100.000). "Lo schema di screening adottato in Italia" spiega Thiene "è efficace nel prevenire gli incidenti mortali. L'identificazione dei portatori di questi disturbi, infatti, non permette soltanto di escluderli dalla pratica agonistica, ma anche di attuare terapie mirate, di seguirli nel tempo così da prevenire complicanze mortali Sul piano della spiegazione dei meccanismi che conducono alla morte improvvisa abbiamo potuto trarre alcune indicazioni. Lo sforzo è di per sé un evento scatenante della fibrillazione ventricolare e dell'arresto cardiaco nelle persone malate. L'esclusione dall'attività delle persone con difetti occulti esclude questo possibile "trigger". Ma si è anche dimostrato che le cardiomiopatie presentano, all'elettrocardiogramma e all'ecocardiogramma, specifiche caratteristiche che ne permettono la diagnosi, e trasferire nell'ambito clinico le conoscenze acquisite in anni di indagini post-mortem, ha rappresentato senz'altro un successo della vita sulla morte".

Uno schema da esportare


Ovviamente le implicazioni della ricerca vanno oltre l'ambito nazionale e anche oltre l'ambito sportivo: "Il successo indiscutibile del programma italiano indica che si dovrebbero attuare analoghe strategia anche in altri paesi dove lo screening non è obbligatorio, come nel Nord America. Inoltre, in tutta franchezza, io non mi aspettavo che la mortalità tra gli atleti scendesse in modo così netto. Prima dell'adozione dello screening obbligatorio era tre volte superire a quella registrata tra i non atleti, mentre oggi le morti improvvise sono più frequenti tra questi ultimi. Ci si potrebbe chiedere" conclude l'autore della ricerca "se l'avvio di screening di massa, magari a scuola, indipendentemente dalla pratica sportiva non potrebbe ridurre l'incidenza della morte improvvisa in tutta la popolazione giovane".

Sveva Prati



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