L'immobilità debilita le donne

20 febbraio 2009
Aggiornamenti e focus

L'immobilità debilita le donne



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Quando un osso si rompe in uno o più frammenti è fondamentale che i margini della frattura vengano mantenuti a contatto e in modo corretto affinché si riformi il tessuto osseo, che riporterà integrità alla struttura. A volte per raggiungere questo obiettivo, se la frattura è importante, se interessa arti, quindi ossa lunghe, o zone come il torace e il bacino dove non è semplice garantire le condizioni necessarie, si procede all'immobilizzazione, dell'arto se non addirittura di tutta la persona. I dispositivi applicati variano in base alle esigenze, ma l'elemento comune è l'immobilità forzata di parti del corpo o dell'intero corpo. E non senza conseguenze che caratterizzano età, genere e stato di salute.

Perdite maggiori


Prima tra tutte, dovuta alla ridotta attività dei muscoli volontari, è proprio la perdita di forza e tonicità muscolare, che non può essere trascurata nella fase di riabilitazione, pena un calo delle capacità funzionali, nonché della qualità della vita. Un'evenienza che, secondo uno studio, interessa maggiormente le donne, nel senso che la perdita di forza è maggiore rispetto agli uomini, una tesi peraltro negata da un altro lavoro analogo. Ciò che invece è stato confermato è che le donne sono soggette quattro volte di più degli uomini a fratture, in questo caso dell'avambraccio, che richiedono immobilizzazione e quindi comunque restano a maggior rischio di calo della forza dei muscoli interessati. Comprendere e confermare eventuali differenze diventa necessario per creare protocolli di riabilitazione specifici per il genere. E' quello che ha cercato di fare un recente studio, con risultati interessanti.

Recupero rallentato


I soggetti osservati erano cinque uomini e cinque donne, che non presentavano patologie particolari e che avevano subito una frattura dell'avambraccio nell'arto non dominante. L'arto è stato steccato in una posizione neutra per 21 giorni e ogni settimana, dall'inizio dell'immobilizzazione fino alla settimana successiva la rimozione delle stecche, è stata misurata la forza di flessione del polso. Contestualmente è stata anche misurata la capacità di attivare i muscoli flessori del polso, indice dell'attivazione a livello del sistema nervoso centrale. Le osservazioni hanno portato a conclusioni piuttosto nette: il calo della forza muscolare era più o meno simile in tutto il campione durante l'immobilizzazione, ma nella fase di riabilitazione le donne mostravano maggiori difficoltà e non raggiungevano nell'ultima misurazione i livelli di recupero conseguiti dagli uomini dopo le tre settimane di mancato uso dell'arto. Infatti, mentre gli uomini avevano del tutto ripristinato la funzionalità dell'avambraccio, le donne ne avevano il 30%. L'assenza di differenze nell'attivazione centrale suggerisce che il deficit di forza muscolare evidenziato nelle donne durante la riabilitazione dipendeva da un meccanismo di atrofia prettamente muscolare. Ma non è chiaro il peso di fattori biologici e comportamentali come, per esempio, l'attività fisica mirata che è stata avviata solo al termine delle misurazioni. Si può essere verificata una riduzione del volume del muscolo che ha fatto perdere forza all'avambraccio nelle settimane di immobilità e i diversi profili ormonali possono aver condizionato il recupero della massa muscolare. Sono note, da modelli animali, l'azione inibente degli ormoni ovarici sulla sintesi di proteine muscolari e l'azione anabolizzante del testosterone su muscoli e scheletro. Ma al di là delle motivazioni, a cui sono interessati i ricercatori, più che i clinici e i pazienti, ciò che appare evidente è che le donne necessitano di programmi di riabilitazione aggiuntivi e più intensivi dopo un periodo di immobilità o di riposo forzato.

Simona Zazzetta



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