Anemia mediterranea

20 giugno 2008
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Anemia mediterranea



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Il tennista statunitense, d'origine greca Pete Sampras, affetto da talassemia minor


Anche il sangue può essere interessato da malattie genetiche. Una, in particolare, riguarda da vicino gli italiani, e in genere le popolazione del bacino del Mediterraneo. Si tratta della talassemia o anemia mediterranea, chiamata così proprio perché osservate per la prima volta nelle popolazioni di questa area. Si tratta di una malattia relativamente frequente: si calcola che ogni anno nasca un milione di bambini affetti da forma grave di talassemia, in gran parte in Italia, Grecia, Medio Oriente, Asia meridionale e Africa, e tra le comunità originarie di queste zone.

Che cos'è la talassemia


Per cominciare esistono più talassemie. Senza addentrarsi nelle spiegazioni, va tenuto presente che l'emoglobina è una molecola molto complessa. Tra gli elementi che la costituiscono vi sono strutture (catene polipeptidiche) chiamate globine. Queste strutture sono presenti a coppie, e sono battezzate a, b, g e d in quanto presentano alcune differenze. Quello che accade nella talassemia è che i geni dai quali dipende la produzione di queste catene non funzionano. Il risultato di questa anomalia dell'emoglobina è che i globuli rossi tendono a distruggersi precocemente.
A seconda del tipo di catena di cui si ha una produzione difettosa , o assente, si ha la talassemia b, a, d. Le due forme più importanti sono la talassemia a e b.
Come per tutte le malattie genetiche, anche nella talassemia si distingue tra forma omozigote (talassemia maior), in cui entrambi i geni interessati sono difettosi, ed eterozigote (talassemia minor), nella quale solo uno dei geni è difettoso.

Come si manifesta

Come in tutte le malattie genetiche, le forme omozigoti sono più gravi, tanto è vero che la a-talassemia omozigote provoca la morte già prima della nascita, in quanto le alterazioni dell'emoglobina sono incompatibili con la vita. La forma omozigote della b-talassemia, invece, non è immediatamente incompatibile con la vita, però tende a manifestarsi nella primissima infanzia (entro 1-2 anni). Esistono anche forme di talassemia omozigote meno gravi, spesso definite talassemie intermedie.
Segni e sintomi della b-talassemia maior. Subito dopo la nascita, ai test di laboratorio si rivela un'anemia che tende rapidamente ad aggravarsi. Nel giro del primo-secondo anno di età il bambino affetto dalla malattia si presenta pallido, itterico e la sua crescita è inferiore alla norma.
Altri segni importanti sono le deformazioni ossee, dovute al fatto che il midollo si accresce in modo anomalo per compensare il difetto nella produzione di emoglobina, e l'ingrossamento di fegato e milza (epatosplenomegalia). Nei casi più gravi si presenta anche scompenso cardiaco dovuto alla dilatazione del cuore (in questo caso si parla di morbo di Cooley).
Segni e sintomi dell'a e b-talassemia minor. Le forme eterozigoti incomparabilmente meno gravi: per l'a-talassemia solitamente non si presentano sintomi e al massimo si può riscontrare una anemia lieve. Nella b-talassemia eterozigote può comparire l'ingrossamento della milza e ai test di laboratorio può risultare un'anemia più consistente che nel caso precedente. Sintomi non se ne presentano, se non quando la persona è soggetta a forti stress fisici (per esempio, malattie infettive di una certa importanza) oppure in caso di gravidanza.

Come si arriva alla diagnosi

Nella b-talassemia maior ovviamente conta il riscontro dei segni descritti prima (pallore, ittero, grave anemia), così come l'accertamento dello stato di fegato e milza. Tuttavia, trattandosi di malattia genetica, la raccolta di informazioni sulla famiglia (anamnesi famigliare) alla ricerca di precedenti è di capitale importanza. Diversi sono i test di laboratorio per definire la diagnosi: esame dei globuli rossi, conta dei reticolociti, elettroforesi dell'emoglobina e altre determinazioni più specialistiche.
Alla radiografia, infine, è possibile individuare deformazioni caratteristiche del cranio e delle ossa lunghe (per esempio il femore).
Le talassemie minor, invece, vengono il più delle volte diagnosticate incidentalmente, cioè perché si esegue un test di routine e viene riscontrata una debole anemia non riconducibile ad altre cause, oppure perché è nota la famigliarità, e quindi si procede ad analisi mirate.

Le conseguenze, le cure

Se la talassemia maior non viene trattata, l'ingrossamento di fegato e milza aumenta, le ossa divengono pericolosamente fragili e, soprattutto, si ha la dilatazione del muscolo cardiaco. Il danno a carico di fegato e milza compromettono tra l'altro le difese immunitarie, ragion per cui le malattie infettive e l'insufficienza cardiaca sono le principali cause di morte tra i malati non trattati.
Le cure. A oggi la principale terapia per la talassemia maior è il ricorso a frequenti trasfusioni, in media ogni 2-4 settimane. Lo scopo è rifornire all'organismo l'emoglobina "normale" che non è in grado di produrre da sé. Nei pazienti così curati la crescita si normalizza, così come il benessere generale, inoltre si evita l'insorgere sia delle deformazioni ossee sia dell'insufficienza cardiaca. Può anche essere necessario ricorrere a cicli di profilassi con antibiotici, allo scopo di prevenire le infezioni che il paziente, comunque con capacità di difesa ridotte, potrebbe sopportare meno facilmente.
In alcuni casi, però, si ricorre all'asportazione della milza (splenectomia), sia perché l'ingrossamento continua, sia perché asportando quest'organo si riducono il fabbisogno di sangue e l'emolisi, cioè la distruzione dei globuli rossi. In questo modo si riduce la frequenza delle trasfusioni.

Gli effetti collaterali delle trasfusioni

Sfortunatamente, il ricorso intensivo alle trasfusioni ha l'effetto indesiderato di creare un accumulo di ferro nell'organismo, che a sua volta può danneggiare cuore, fegato e altri organi (si ricordi che il ferro è sì un minerale fondamentale per la vita ma è anche tossico a elevati dosaggi). A questo scopo, a partire dagli anni sessanta, si ricorre alla cosiddetta terapia chelante, cioè alla somministrazione di sostanze che legano a sé il ferro consentendone l'eliminazione dall'organismo.
Fino a poco tempo fa a questo scopo si poteva impiegare soltanto la desferrossamina, sostanza che però va iniettata più volte la settimana, ricorrendo a un infusore a pompa. Non tutti i pazienti, peraltro, tollerano questo farmaco.
Nell'estate 1999, però, è stato approvato l'impiego di un'altra sostanza chelante del ferro, il deferiprone, che può essere assunto per via orale.
Nel paziente affetto da talassemia maior sono necessari supplementazioni di acido folico (una vitamina del gruppo B).
Infine, va citata la possibilità di curare la talassemia attraverso il trapianto di midollo osseo. Questa via è senz'altro praticabile in teoria, ma è difficile trovare i donatori compatibili e, inoltre, l'intervento in sé presenta molti rischi in questi malati.
Di norma, nelle talassemie intermedie si ricorre alle trasfusioni solo quando si presentano complicazioni, mentre le talassemie minor non richiedono alcuna terapia.

La prevenzione delle talassemie

L'unica forma di prevenzione è evitare che nascano bambini affetti dalla malattia grave, il che significa evitare il concepimento tra persone che sono portatori sani del gene "difettoso". Infatti, i figli di due persone con talassemia eterozigote (cioè che hanno un gene difettoso e uno normale) hanno una probabilità su quattro di nascere con la forma omozigote, due probabilità su quattro di presentare la forma eterozigote come i genitori e, infine, una probabilità su quattro di ereditare dai genitori solo i geni normali e, quindi, di non avere la malattia in nessuna forma e di non essere nemmeno portatore del gene difettoso.
Con i test prenatali oggi disponibili (amniocentesi e prelievo dei villi coriali) è possibile determinare se e in quale forma il nascituro sarà affetto da talassemia, se non altro allo scopo di avviare quanto prima le terapie, riducendo la possibilità delle complicanze.

Il futuro delle terapie

Molto si punta, è ovvio, sulla terapia genica di cui si stanno studiando due forme.
La prima consiste nell'inserire nelle cellule staminali del paziente (dalle quali hanno origine tutte le cellule del corpo) il gene da cui dipende al produzione della b-globina, così da rendere possibile la produzione di emoglobina normale.
La seconda forma richiede una premessa. Durante la gravidanza, il feto produce un tipo di emoglobina diverso da quello dell'adulto (emoglobina fetale). Poi, dopo la nascita, la produzione di emoglobina fetale si interrompe e comincia quella dell'emoglobina normale. Secondo i ricercatori, sarebbe possibile impedire questo passaggio all'emoglobina dell'adulto (che nei talassemici è difettosa) e indurre l'organismo a continuare a produrre quella fetale per tutta la vita. Infatti, con la sola emoglobina fetale si può vivere normalmente, perché è quello che accade ad alcuni - rari - individui che presentano un'altra anomalia genetica.

Maurizio Imperiali

Fonti
  • John Willis Hurst. Medicina Clinica per il medico pratico. Edizione Italiana a cura di Nicola Dioguardi. Masson Editore. Milano 1986.
  • Wang W, Day S, Turner E, Bhakta M, Erickson S. Medical management and prevention guidelines for children with sickle cell disease. J Tenn Med Assoc. 1992 May;85(5):209-14. Review.
  • Guidelines for investigation of the alpha and beta thalassaemia traits. The Thalassaemia Working Party of the BCSH General Haematology Task Force. J Clin Pathol. 1994 Apr;47(4):289-95.
  • Wonke B, Telfer P, Hoffbrand AV. Iron chelation with oral deferiprone in patients with thalassemia. N Engl J Med. 1998 Dec 3;339(23):1712;
  • Blau CA. Current status of stem cell therapy and prospects for gene therapy for the disorders of globin synthesis. Baillieres Clin Haematol 1998 Mar;11(1):257-75



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