Mammografia, screening poco sfruttato: a chi è rivolto e perché

09 ottobre 2017
Interviste

Mammografia, screening poco sfruttato: a chi è rivolto e perché



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Al congresso della Società europea di oncologia medica svoltosi a Madrid si è parlato di screening mammografico e gli oncologi presenti hanno sfruttato l'occasione per fare il punto sulle campagne di screening nel nostro paese, di grande importanza per individuare il tumore in fase precoce e quindi assicurare maggiori possibilità di sopravvivenza. Dica33 ne ha parlato con Stefania Gori, presidente eletto dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom).

Dottoressa Gori, quante donne vengono invitate allo screening mammografico in Italia?
«Lo screening mammografico, eseguito ogni due anni nelle donne dai 50 ai 69 anni che non mostrano sintomi di malattia, ha contribuito in maniera determinante a ridurre la mortalità per il cancro del seno dall'anno 2000, con una diminuzione costante e statisticamente significativa. Nonostante questo, molte donne rinunciano allo screening. Il numero degli inviti spediti è sempre in aumento, e nel 2016 più dell'80 per cento delle donne tra i 50 e i 69 anni residenti in Italia ha ricevuto la lettera con l'invito a eseguire la mammografia, anche se la percentuale può variare a seconda della regione, ed è decisamente minore nelle regioni del sud e delle isole per una questione organizzativa; in Calabria, per esempio, lo screening fatica ancora ad essere avviato o a garantire continuità».

Quante donne hanno risposto all'invito?
«Il 55 per cento delle donne nel 2015 ha aderito alla campagna di screening. Anche in questo caso, la percentuale varia molto a seconda della regione; nelle regioni del nord infatti la percentuale si attesta attorno al 63 per cento, al centro scende al 56 per cento mentre al sud arriviamo al 36 per cento. Le differenze in questa adesione dipendono anche da motivi culturali, da una scarsa considerazione per la propria salute, spesso messa in secondo piano rispetto a quella dei familiari o alle attività di tutti i giorni, o dalla convinzione che gli esami effettuati quando si è in buona salute siano superflui».

I risultati del programma di screening sono importanti. Come viene valutata la qualità del programma?
«Normalmente questo tipo di programma viene valutato nel breve periodo secondo l'adesione e altri indicatori, quali la percentuale di chirurgia conservativa che si riesce ad effettuare, perché solitamente il tumore preso quando ancora non è sintomatico è di piccole dimensioni, allo stadio iniziale, e permette un intervento meno invasivo.
Il tasso di chirurgia conservativa in questo caso è molto alta (supera il 90 per cento se il tumore è entro i due centimetri di diametro) e anche l'impatto sul fisico risulta molto ridotto.
Un altro indicatore per valutare in che modo funziona il nostro programma riguarda i tempi di attesa; se la donna riceve una diagnosi di tumore dopo lo screening e le biopsie, è necessario garantire l'intervento entro 30 giorni dalla prescrizione, ma questo è avvenuto solo nel 41 per cento dei casi negli anni 2013/2014, per cui è necessario far diminuire i tempi di attesa, cosa su cui il ministero sta lavorando molto. Non dimentichiamo però che anche la consapevolezza della donna ha una grande importanza, e le donne attualmente sono più coscienti del fatto che se trovano un nodulo o elementi di sospetto devono andare a farsi controllare».

Quali provvedimenti pensate di prendere per aumentare l'adesione allo screening?
«In realtà, noi già sappiamo che più donne di quelle che rispondono ai nostri inviti controllano la loro salute. Esiste infatti un sistema di controllo chiamato Passi, coordinato dal Ministero della Sanità, che attraverso telefonate del servizio sanitario interroga persone tra i 18 e i 69 anni su stili di vita e screening. Dall'analisi di questi dati emerge che il 55 per cento delle donne effettua lo screening in risposta alle lettere ricevute, ma esiste anche un 19 per cento di donne che afferma di aver eseguito la mammografia al di fuori dallo screening organizzato. Noi vogliamo far sì che la maggior parte delle donne rientri nei progetti di screening controllati, che devono arrivare a tutte le interessate; infatti, chi segue percorsi autonomi di screening potrebbe andare incontro a ritardi e problemi nell'iniziare il trattamento adeguato nel caso di diagnosi positiva. Abbiamo proposto a questo scopo campagne di sensibilizzazione come quella promossa da Aiom in Sardegna, un progetto pilota che ha l'obiettivo di aumentare nelle donne la consapevolezza sull'importanza dello screening e l'accesso allo stesso. Questo progetto, nel caso di successo, potrebbe essere esteso ad altre regioni italiane».

Susanna Guzzetti



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