Vivere “sempre di corsa” può anche essere divertente

04 luglio 2016
Interviste

Vivere “sempre di corsa” può anche essere divertente



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Sono molte le persone che si avvicinano al mondo della corsa per passione vera o solo per curiosità, ma ce ne sono altrettante che vedono tale attività come noiosa e decisamente troppo faticosa. Non c'è una ricetta per farsi piacere questo sport, che comunque porta tanti benefici a corpo e mente se praticato nel modo corretto, ma il racconto dichi vive il mondo dei runner dall'interno può senza dubbio chiarire un po' le idee e offrire qualche spunto di riflessione. E per arrivare a questo obiettivo non abbiamo chiesto a un runner qualunque, ma a uno degli atleti più amati dagli appassionati di podismo: è Giorgio Calcaterra, più volte vincitore del titolo del mondo di ultramaratona e fresco autore del libro Correre è la mia vita (Edizioni Lswr) , scritto in collaborazione con Daniele Ottavi, sociologo specializzato nella pianificazione narrativa.

Cosa consiglia a chi si vuole avvicinare alla corsa (non necessariamente alla maratona/ultramaratona)?
«L'aiuto di un podista più esperto è utile altrimenti si rischia di farsi male oppure di stancarsi subito e per questo decidere subito di smettere. Non bisogna cercare il grande allenatore, basta non avere paura di chiedere. È sempre stato un mio limite, tranne piccoli periodi nei quali mi sono affidato ad allenatori. L'importante è usare la testa e ascoltare il proprio corpo: il consiglio degli amici o le informazioni che si trovano su internet possono andare bene, ma non è così scontato che siano adatte a noi.

Altra cosa da tener sempre presente è la gradualità: bisogna essere costanti, è meglio iniziare piano piuttosto che cercare la grande prestazione subito e rischiare di infortunarsi. A chi inizia consiglio di pensare sempre a cosa si vuole dalla corsa. Secondo me è importante correre per stare bene, bisognerebbe sempre di divertirsi, magari correndo con un amico che ci fa compagnia. È l'eccesso della corsa che può dare un senso di fatica, non la corsa in sé. Può sembrare strano, ma molte delle persone che cominciano non riescono ad andare piano, invece bisogna mirare proprio ad andare piano e a durare nel tempo, è anche importante apprezzare ciò che si fa, sempre a piccoli passi».

Sin da ragazzino ha scelto la corsa come attività sportiva, una scelta "particolare" e comunque non così comune soprattutto per un bambino. Perché proprio la corsa?
«Io penso che la corsa sia il primo istinto di tutti i bambini: i bimbi per giocare corrono, si rincorrono, se devono spostarsi lo fanno di corsa. Per quanto mi riguarda la scelta della corsa è stata "naturale" poiché ho sempre cercato di fare ciò che mi piaceva e mi faceva stare bene. È stato istintivo: era bello correre, stavo bene quando correvo, oltretutto ho trovato subito un ambiente sano e molto piacevole».

Un conto è la passione per la corsa, ma quando si comincia a parlare di maratone e ultramaratone il discorso cambia. Cosa l'ha spinta ad andare così lontano e così a fondo nella sua passione?
«Non c'è una risposta precisa a questa domanda. Ho sempre fatto tutto in modo graduale e non mi sono mai posto come obiettivo i 100 km. Io semplicemente correvo: 5 km, 10 km, poi le mezze maratone poi i 42km, i 50kme poi ho voluto provare anche la 100 km. Ho iniziato con le ultramaratone perché volevo capire il motivo per cui ne parlavano con grande entusiasmo. L'idea era di farne una a poi non farne più e invece sono andato avanti...dopo aver vinto la prima al Passatore del 2006, mi convocarono per una gara a Seoul e visto che in Corea non ero mai stato ho colto la palla al balzo per unire due cose che amo: correre e viaggiare. Così ho corso la mia seconda ultramaratona, poi la terza, la quarta e così via».

Dalla corsa ha ricevuto enormi soddisfazioni, anche in termini di riconoscimenti internazionali. Ha mai ricevuto qualche delusione?
«Dalla corsa non ho mai avuto delusioni. Le delusioni sono arrivate purtroppo dall'ambiente della corsa quando per esempio persone che io stimavo sono cadute nel doping. Quindi potremmo dire che sono rimasto deluso dal "sistema" che non fa controlli abbastanza stretti e permette ad alcuni presunti atleti di barare, ma non ho mai pensato che fosse colpa della corsa».

Il tema che emerge più prepotentemente sin dalle prime pagine del libro è la libertà, che lei ha cercato in tutte le sue scelte di vita a partire da quelle professionali. Quanto conta la libertà nella sua vita oggi, dopo anni di gare e di successi?
«La libertà conta moltissimo per me. Ovviamente dipende da cosa si intende per "libertà", per quanto mi riguarda, sono felice delle scelte che ho fatto, perché oggi posso dire di essere un uomo libero. Se avessi fatto l'atleta professionista o avessi scelto un altro mestiere lo sarei stato di meno».

Correre a questi livelli richiede un grande impegno. Come rientra la corsa nella sua routine quotidiana?
«Dipende molto dal periodo e dal calendario delle gare. Fino a un paio di mesi fa preparavo le ultramaratone e in quel caso correvo due volte al giorno(al mattino e all'ora di pranzo), ma poi c'è la programmazione di molte altre cose sempre legate alla corsa. È un impegno che mi prende abbastanza ma è una mia scelta non è un peso, è piuttosto un piacere».

Quali sono gli obiettivi per il futuro? C'è ancora qualche traguardo che vorrebbe raggiungere?
«Il traguardo generale - e per me il più importante al di là dei risultati in gara - è sempre quello di correre stando bene, divertendomi riuscendo a trarre energia positiva dalla corsa. Se si parla invece di gare importanti, a fine anno ci sarà il mondiale della 100 km in Spagna e l'obiettivo in questo caso è di fare un buon mondiale e di arrivarci in forma e con la voglia di dare il massimo. Indipendentemente da come andrà, penso che sia fondamentale sapere sempre di avercela messa tutta».

Quanto conta la testa e quanto il corpo quando si corre una maratona o una ultramaratona?
«Sia in gara sia in allenamento, secondo me contano il 100 per cento tutte e due! Mi rendo conto che matematicamente la mia risposta non sta in piedi, ma nella mia esperienza funziona così. Senza la testa non vai da nessuna parte ma se il fisico poi non ti sostiene il risultato non arriva. In un certo senso è come chiedere se in una macchina contano più le ruote o il motore...contano entrambi allo stesso modo, sono entrambi necessari».

Cristina Ferrario



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