Bancarotta e cuore a pezzi

14 ottobre 2005
Aggiornamenti e focus

Bancarotta e cuore a pezzi



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Forse non sarà un fattore di rischio classico, ma le traversie economiche possono quantomeno essere l'elemento scatenante delle crisi cardiache. Infatti, tra le relazioni presentate al XXXII Congresso argentino di cardiologia ce n'è stata una che ha messo in relazione il periodo più nero della crisi finanziaria di quel paese con l'andamento della mortalità per sindromi coronariche acute (in parole povere infarto) e insufficienza cardiaca. Lo studio, condotto dalla Fondazione Favaloro di Buenos Aires, ha preso in considerazione le ultime settimane del 2001 e le prime del 2002, un periodo tremendo, durante il quale si sono succeduti 5 presidenti in una settimana, il peso, la moneta argentina, ha abbandonato la parità con il dollaro, le banche erano chiuse per evitare i prelievi e si è assistito a fallimenti a ripetizione delle aziende, con un'impennata della disoccupazione.

Un aumento dei nuovi casi


La ricerca è stata condotta esaminando il database argentino del Global Registry of Acute Coronary Events, che comprendeva 3.200 pazienti di età superiore ai 18 anni ricoverati presso sette centri pubblici e privati con i sintomi dell'evento coronarico e con marker biochimici ed elettrocardiogramma che documentavano un danno al tessuto miocardico. Di questi, 2246 erano stati ricoverati tra il 1999 e il 2002, mentre gli altri 974 erano arrivati in ospedale dopo la risoluzione della crisi (2003-2004). I ricercatori, guidati da Enrique Gurfinkel, hanno tratto due conclusioni. La prima è che nel periodo di crisi era aumentata l'incidenza (il numero di nuovi casi) sia di infarto sia di insufficienza cardiaca: gli infarti erano saliti al 6,9% per poi scendere al 2,9%, mentre le insufficienze cardiache erano il 16% durante la crisi e l'11% dopo. E fin qui si potrebbe documentare la pressione diretta dello stress causato da perdita di lavoro, azzeramento dei risparmi eccetera, sulle condizioni fisiche. Il fatto è che non solo è aumentato il numero degli eventi coronarici, ma anche la mortalità, e qui la psicologia c'entra poco o nulla.

Tempi lunghi, meno farmaci


Infatti crisi economica ha significato anche peggioramento della gestione degli ospedali, come prova il fatto che, in condizioni normali, il tempo trascorso tra l'arrivo del paziente nel pronto soccorso e l'avvio della terapia (angioplastica, trombolisi) era pari a 27 minuti mentre nel periodo indagato era salito a 190 minuti: un'enormità se si considera che nel caso di crisi coronarica acuta il golden standard è intervenire entro un'ora. Al di là dei tempi di esecuzione, anche la natura delle terapie adottate è cambiata. Secondo i dati presentati da Gurfinkel in quel periodo si sono preferiti gli interventi di by-pass rispetto all'angioplastica, che è più costosa, così come si sono ridotte le prescrizioni di statine (per combattere l'ipercolesterolemia) e di ACE inibitori (antipertensivi che hanno un effetto favorevole sulla prevenzione dell'insufficienza cardiaca). Insomma una vera e propria economia di guerra che ha causato un aumento del 20% della mortalità che, in proiezione su base nazionale, significa 20000 morti in più. Morti di infarto o di malgoverno dell'economia? Ognuno ha la sua risposta.

Maurizio Imperiali



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