Italiani popolo di cardiopatici

21 dicembre 2006
Aggiornamenti e focus

Italiani popolo di cardiopatici



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Gli italiani, come il resto del mondo industrializzato, hanno problemi di cuore. L'allarme è stato rilanciato durante la conferenza stampa di apertura del 67° Congresso della Società Italiana di Cardiologia (SIC) che si è svolto a Roma dal 16 al 19 dicembre. I lavori del congresso sono stati aperti da un focus centrato sui problemi specifici della popolazione femminile. "Sono dell'idea - ha detto Maria Grazia Modena Presidente della Sic - che se un problema va affrontato questo deve avvenire nella forma migliore. Inoltre, abbiamo voluto affrontare la situazione cardiovascolare della donna nel momento in cui si associano varie patologie o situazioni naturali come il diabete e la sindrome metabolica, la patologia reumatica, le malattie neurodegenerative, la disfunzione tiroidea, la depressione, le malattie degenerative, la patologia neoplastica, la menopausa, la gravidanza.
Il congresso di Roma è stato l'ultimo atto da presidente della Sic per Maria Grazia Modena: "Ho lavorato con grande impegno per una Cardiologia Italiana virtualmente unita, senza la quale saremmo perdenti in Europa e nel Mondo e inutilmente fra i più produttivi sul piano scientifico. Spero che nel prossimo biennio si potranno cogliere i frutti del lavoro svolto".

Il cuore incompreso


In Italia la mortalità per cause cardiache supera, e di molto, l'incidenza di tutti i tumori messi insieme. Tuttavia questo dato non sembra colpire l'opinione pubblica con la stessa efficacia dei problemi oncologici. "Agli italiani - ha detto il professor Massimo Chiariello, past president della Società Italiana di Cardiologia - non sta a cuore il cuore. Non è purtroppo un gioco di parole. L'infarto è da tutti considerato un killer spietato ma non si fa nulla o poco per evitarlo. L'amarezza nasce anche dalla consapevolezza che la maggior parte dei morti per infarto avrebbe avuto salva la vita anche solo modificando il proprio stile di vita. Eppure - ha continuato - si continua a fumare, ad alimentarsi in maniera sconsiderata e trascurare l'attività fisica". Anche l'argomento "dieta" è controverso. "L'approccio alla parola dieta - spiega Chiarello è oggi sbagliato per definizione linguistica. Ci si mette a dieta con l'idea della privazione, per raggiungere dimagrimenti "estetici" che magari durano il tempo di un'estate. Questo al cuore serve a poco o a niente visto che la salute cardiovascolare si raggiunge attraverso sane abitudini alimentari. In sintesi: porzioni ridotte e dieta mediterranea.

Ma quando il danno è fatto?


L'attacco di cuore si può manifestare all'improvviso e dovunque. Bisogna intervenire velocemente e in maniera adeguata. La prima linea di difesa da attuare in tempi quasi istantanei si potrebbe schierare con l'uso dei defibrillatori trasportabili. Si tratta di apparecchi semiautomatici grandi come un libro che si maneggiano con padronanza dopo un corso di poche ore. "In Italia - ha detto Jorges Salerno Direttore dell'Unità operativa di Cardiologia Ospedale di circolo e Fondazione Macchi di Varese - ogni anno su cento persone colpite da un attacco di cuore per una fibrillazione, 80 non riescono ad arrivare in ospedale. Venti sono salvate proprio dal defibrillatore. Vuol dire che con una buona rete di assistenza con un defibrillatore si salvano 20 persone, e non è certo poco. I defibrillatori potrebbero essere piazzati praticamente dovunque". Ben venga, dunque, la proposta lanciata dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei farmacisti di dotare le farmacie di questo strumento, e di formare al suoi impiego i farmacisti stessi.

Una rete di salvataggio

"Nell'ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia - ha detto Rosario Rossi Assistente Ospedaliero Azienda Policlinico di Modena - si è sottolineato che le società che presentano una rete efficace di soccorso, hanno una mortalità ospedaliera inferiore al 10%.
In Italia esiste una realtà molto variegata, dove sono presenti delle efficacissime reti, nelle quali tutti i tempi sono rispettati, con una mortalità bassa; rispetto a regioni dove, per la presenza di particolari asperità territoriali, o, per una non perfetta organizzazione della rete del soccorso, non si raggiungono tempi di soccorso altrettanto brillanti. Tipicamente le regioni più organizzate sono la Toscana, che è stata la prima a proporre tale modello a rete, seguite dalla Emilia Romagna e dalla Lombardia, che hanno adottato più recentemente il modello a rete. La aree più penalizzate - ha concluso Rossi - risultano essere quelle montane e rurali.

Gianluca Casponi



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