Resistenza all'aspirina

23 gennaio 2008
Aggiornamenti e focus

Resistenza all'aspirina



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Molti studi testimoniano che l'aspirina può essere impiegata, con eccellenti risultati, nella prevenzione e nella cura di malattie cardiovascolari. Lo scopo del ricorso al farmaco è quello di rendere il sangue più fluido, attraverso la sua azione antiaggregante e prevenire così, per esempio, gli infarti. Si tratta di un fatto assodato e poco discusso anche se un significativo numero di pazienti per il ricorso all'aspirina come terapia antitrombotica ha eventi vascolari avversi. Se il sangue diventa più fluido, infatti, aumenta anche il rischio di sanguinamenti ed emorragie, per questo ad alcuni pazienti vengono prescritti altri antiaggreganti, che agiscano con meccanismo diverso. Ma al di là di questi aspetti la principale controversia in merito al ricorso all'aspirina è sulle ragioni per cui certi pazienti non ne traggano beneficio e su come questi pazienti possano essere identificati. Di questi aspetti si è occupato uno studio canadese appena pubblicato sull'edizione on line del British Medical Journal, concludendo che le resistenze all'aspirina non vanno sottovalutate.

Resistenza perché?


E' noto, dicono i ricercatori, che ci sono soggetti che necessitano di una dose maggiore di aspirina per raggiungere l'effetto antiaggregante. Non sono, però, chiare le ragioni. Si tratta semplicemente del fatto che ricevono una dose troppo bassa del farmaco, che non hanno l'adeguata aderenza alla terapia, che hanno una differente capacità di assorbimento del farmaco o infine che hanno una qualche predisposizione genetica che inibisce l'assorbimento del farmaco? Qualsiasi sia la ragione sono pazienti definiti resistenti all'aspirina e poco si sa anche su come identificarli, in più pochi studi hanno definito l'effetto della resistenza all'aspirina sull'outcome clinico. Lo studio canadese del Bmj ha cercato di ovviare a queste lacune. Per farlo sono stati rivisti in modo sistematico tutti gli studi sulla resistenza all'aspirina e i suoi effetti sulle malattie cardiovascolari. Ipotizzando che si tratti di un fenomeno clinicamente rilevante, che condiziona fortemente il rischio cardiovascolare e cerebrovascolare. Un'ipotesi confermata dallo studio.

Rischi maggiori


I soggetti resistenti all'aspirina, infatti, hanno un rischio maggiore di avere un attacco cardiaco, un ictus o di morire per una pre-esistente condizione cardiaca. I ricercatori hanno considerato 20 studi che hanno coinvolto 2930 soggetti cui fosse stata prescritta aspirina (da 75 a 325 mg al giorno) per prevenire i trombi. In sei degli studi esaminati i soggetti stavano assumendo altri antiaggreganti. Ebbene la resistenza al farmaco è stata riscontrata nel 28% dei soggetti indagati,ma, quello che più conta, a confronto coi soggetti sensibili all'aspirina, il rischio di un evento cardiovascolare è quattro volte maggiore per i resistenti, dall'ictus all'infarto. In particolare il 39% dei soggetti aspirino-resistenti hanno sofferto qualche evento cardiovascolare, contro il 16% dei sensibili all'aspirina. Non solo, anche la probabilità di un evento fatale aumenta di sei volte. Non esistono oltretutto evidenze che altre terapie, possano essere d'aiuto. Ecco perché, concludono i ricercatori, urgono studi nei quali determinare test utili a identificare la resistenza all'aspirina o possibili alternative terapeutiche. Sono molte, del resto, le questioni ancora aperte sull'argomento, come ribadisce l'editoriale di due autori italiani, Giuseppe Biondi-Zoccai, dell'università di Torino e Marzia Lotrionte dell'università Cattolica di Roma. Su quale sia la natura della resistenza all'aspirina e su quanto il suo effetto prognostico negativo sia dipendente da altri fattori di rischio come diabete e obesità.

Marco Malagutti



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