Quale indagine per l'arteria

25 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Quale indagine per l'arteria



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Come l'ipertensione, anche l'aterosclerosi è una condizione che non dà molti segnali di sé. O meglio ne dà quando la situazione è già piuttosto compromessa: per esempio, la stenosi delle coronarie è tale da determinare l'angina, oppure la compromissione dei vasi degli arti inferiori è causa della claudicazione. In effetti, le prime conferme del rapporto ipercolesterolemia-aterosclerosi vennero dalle autopsie. Ma dal secondo dopoguerra a oggi molto è cambiato nella diagnostica strumentale e oggi l'aterosclerosi può essere valutata con diverse indagini, in particolare radiologiche (la TAC) ed ecografiche. Questi esami vengono impiegati per determinare il rischio cardiovascolare dei pazienti e, più recentemente, anche l'effetto della terapia ipolipemizzante sull'aterosclerosi (aumenta, non cambia, diminuisce).

Coronarie o carotidi, raggi o ultrasuoni


In particolare sono due i test che si contendono la palma del più utile: la misurazione dello spessore dell'intima media (i due strati più interni) delle arterie carotidi (in sigla IMT), che si effettua con l'ecografia, e la valutazione della calcificazione delle coronarie, che richiede invece il tomografo (in sigla CAC). Sfortunatamente i due indici non vanno di pari passo nel singolo individuo e, quindi, si apre la contesa su quale dei due test sia più utile eseguire in clinica. In altre parole, quale dei due esami è più sensibile nel segnalare il rischio cardiovascolare generale e quello di ischemia-infarto, considerando anche che è già stata proposta l'adozione dell'uno o dell'altro per la valutazione delle persone a con un certo rischio cardiovascolare, anche soltanto per ragioni di età. Compito al quale è dedicata una ricerca che ha coinvolto circa 6700 persone di età compresa tra 45 e 84 anni di quattro diversi gruppi etnici (i più rappresentati negli Stati Uniti). Inizialmente queste persone non presentavano malattie cardiovascolari e, oltre alla valutazione dei consueti fattori di rischio quali ipertensione e diabete, subivano le due indagini diagnostiche in questione. Questa popolazione è stata poi seguita nel tempo, al massimo 5,3 anni, per sorvegliare il verificarsi di malattia coronarica, ictus o di un evento cardiovascolare mortale. Come è intuibile il verificarsi di uno di questi casi veniva messo in relazione con il risultato a suo tempo ottenuto con la CAC e con la IMT.

Meglio puntare al cuore


La ricerca ha messo in luce che è la calcificazione delle coronarie l'indice che ha le maggiori capacità predittive. Infatti per ogni deviazione standard in più alla CAC, il rischio di un qualsiasi incidente cardiovascolare aumentava di 2,1 volte, mentre un aumento della stessa entità dell'ispessimento della carotide aumentava il rischio di 1,3 volte. Per quanto riguarda la malattia coronarica il risultato cambiava di poco: 2,5 volte per la calcificazione delle coronarie e 1,2 volte per la misurazione carotidea. Al contrario, se si trattava dell'ictus c'era una maggior sensibilità dell'IMT, ma non in misura notevole.
La prima conclusione importante di questo studio è che nella popolazione più a rischio per età, dai 45 anni in su, ma ancora esente da sintomi, effettivamente l'aggiunta di questi nuovi test a quelli rivolti ai tradizionali fattori di rischio permette una valutazione più precisa del pericolo. Però, è con la valutazione della calcificazione delle coronarie che si ottiene il risultato migliore. Poi restano aperte questioni di fondo: se sia il caso di sottoporre a indagini tutta la popolazione; se nelle persone che hanno casi di ictus in famiglia non sia meglio comunque eseguire l'IMT. Però un punto fermo c'è.

Maurizio Imperiali



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