Sane abitudini salvano il rene

29 settembre 2006
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Sane abitudini salvano il rene



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Che gli acidi grassi polinsaturi, gli omega 3 per intendersi, abbiamo un ruolo importante nella prevenzione e anche nella terapia delle patologie cardiovascolari è stato ampiamente dimostrato da molte ricerche scientifiche. Ma la comunità scientifica spazia in altri ambiti patologici per verificare eventuali altri effetti benefici, considerando la facilità di reperimento e la possibilità di assumerli con la dieta. Uno di questi sono le neoplasie, ma i dati in merito sono incoerenti e una recente metanalisi che tentava di mettere in relazione il consumo di totale di pesce (grasso e magro) e il rischio di sviluppare i tumori maggiori non è approdata a nessuna teoria protettiva. La metanalisi, però, aveva escluso i tumori renali, in particolare il carcinoma cellulare renale, che rappresenta l'80% dei tumori di questi organi.

Omega-3 buoni anche per il rene


Un recente lavoro condotto in Svezia si è invece orientato proprio in questa direzione facendo anche un distinguo, dovuto, tra pesci grassi e pesci magri, dal momento che la quantità di acidi grassi omega 3 e di vitamina D è ben diversa. Si parla di un ordine di grandezza di 20-30 volte più alto nel pesce grasso che vive in acque fredde rispetto a quello magro. L'interesse nasce dall'osservazione che uno dei due acidi grassi più importanti, l'acido docoesanoico, è in grado di ridurre significativamente il profilo invasivo del carcinoma cellulare renale, e che bassi livelli di vitamina D nel sangue sono associati al suo sviluppo e progressione. Il campione da cui sono stati attinti i dati era una coorte di donne tra i 40 e i 67 anni reclutate in un altro grande studio sulla mammografia. Le informazioni sull'alimentazione sono state raccolte mediante un questionario e il monitoraggio si è protratto per 15 anni circa, durante i quali sono stati registrati 150 casi di carcinoma cellulare renale. A parità di età, alle donne che consumavano almeno una volta alla settimana pesce grasso era associata una riduzione del rischio di carcinoma del 44% rispetto a quelle che non consumavano pesce. Inoltre le donne che ne avevano fatto consumo per lungo tempo, nel corso di 10 anni presentavano un rischio del 74% più basso. Quando si passava a considerare il pesce magro o altri tipi di pescato non veniva rilevata alcun tipo di associazione. Ci sono quindi le basi statistiche per poter sostenere l'ipotesi che il consumo frequente di pesce grasso riduce il rischio di carcinoma cellulare renale, effetto dovuto all'aumentata assunzione di olio di pesce ricco di acido docoesanoico, acido eicosapentaenoico e di vitamina D.

Ognuno ha il suo ruolo


Esistono comunque fondamenti scientifici a supporto di questa ipotesi che sono stati verificati in vitro e in vivo. Per esempio, è stato proposto un meccanismo molecolare che vede coinvolti i due acidi grassi nella soppressione della sintesi dell'eicosanoide derivato dall'acido arachidonico. Tale processo di sintesi porta a un'alterata risposta immunitaria delle cellule tumorali e a una alterata modulazione dell'infiammazione, alla proliferazione cellulare, all'apoptosi e all'angiogenesi. In laboratorio, è stato dimostrato che l'acido docoesanoico riduce significativamente il profilo invasivo del carcinoma cellulare renale e l'olio di fegato di squalo, ricco di entrambi gli acidi grassi, sopprime la risposta neovascolare in modelli animali. Inoltre, l'acido docoesanoico è un agonista naturale di particolari recettori espressi dai tessuti di questo tipo di tumore. Infine, i due acidi grassi possono incrementare la produzione di radicali liberi, che contrariamente ad altri ambiti, limitano la capacità del tumore di metastatizzare. Anche la vitamina D gioca la sua parte, cioè svolge la sua attività biologica legandosi a recettori specifici che si trovano proprio a livello dei reni.
Si tratta certamente di un primo studio epidemiologico sull'argomento a cui dovranno seguire conferme e approfondimenti, quel che è certo è che i pesci grassi e gli acidi grassi polinsaturi portano a segno un altro punto in loro favore nella protezione della salute umana.

Simona Zazzetta



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