Sorrisicostosi 

14 novembre 2003
Aggiornamenti e focus, Speciale Bocca sana

Sorrisicostosi 



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In un sistema sanitario che "copre tutto" inevitabilmente qualcosa resta fuori. Nel caso dell'Italia è, storicamente, l'assistenza odontoiatrica, cioè la cura dei denti.
In effetti non è che l'assistenza pubblica sia totalmente estranea alle cure dentarie: per quel che riguarda l'età evolutiva (cioè i bambini) e gli anziani, che richiedono protesi, la copertura pubblica è prevista. Anche la fissazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) ha mantenuto questa previsione, rimandando il resto delle cure specialistiche ai Fondi sanitari integrativi. Il fatto è che però nel Servizio Sanitario Nazionale opera soltanto il 10% degli odontoiatri italiani, il restante 90% sono liberi professionisti. Questo significa che è difficile assicurare la presenza del "dentista pubblico" su tutto il territorio e che anche dove c'è le liste d'attesa sono lunghe (troppo). Peraltro, da sempre le associazioni professionali degli odontoiatri lamentano che non vengono messi a concorso posti di odontoiatra nel SSN. Insomma, non si assume. Non è, peraltro, che gli odontoiatri scarseggino: nel 2000 se ne contavano 45.000 e in Gran Bretagna, per fare un esempio, sono 25.700 con una popolazione pressoché identica. Sì, la Germania ne conta 65.000 ma su 80 milioni di abitanti, l'Italia ne ha 57.

I perché di una esclusione


Questa scelta non è ovviamente frutto di una perversione del legislatore, ma ha anche giustificazioni economiche. Infatti in un sistema solidaristico come quello italiano chi non subisce e non subirà mai un infarto paga anche le cure di chi, invece, dall'infarto è colpito. D'altra parte può rompersi una gamba e quello che ha avuto l'infarto pagherà anche per il suo osso. Il trucco è che, statisticamente, non tutti hanno un infarto, non tutti subiscono fratture e, soprattutto, molti vanno incontro al massimo a un raffreddore. Per le cure dentarie non è così: prima o poi tutti ne hanno bisogno, soprattutto con l'invecchiamento. Di conseguenza il principio della mutualità viene meno e, si dice, tanto vale che ognuno copra da sé il suo rischio personale. E' questo il motivo per cui, tra l'altro, nemmeno le compagnie che offrono polizze salute offrono l'assistenza odontoiatrica. O meglio, alcune di esse, come Unisalute, offrono la copertura delle prestazioni dentarie successive a infortunio, per esempio una caduta.

Costi elevati perché...


Una delle conseguenze di questa scelta è che all'estero, in media, le cure dentarie costano meno. Infatti, laddove c'è una copertura pubblica, per esempio la Gran Bretagna, l'odontoiatra privato deve rendere più appetibili le sue prestazioni riducendo i costi, altrimenti meglio fare la coda. Nei paesi dove tutto si paga, come gli Stati Uniti, anche attraverso la propria polizza, l'odontoiatra si trova, per così dire, in concorrenza con le altre prestazioni (del medico di famiglia, del gastroenterologo...). Questa è solo una possibile spiegazione, è chiaro, ma certo escludere le prestazioni odontoiatriche dalla copertura ha avuto questo effetto. C'è anche un altro aspetto: gli odontoiatri italiani lavorano prevalentemente da soli o al massimo in due: sono piccoli studi professionali con in media tra 400 e 500 pazienti, il che fa sì che aumentino le spese accessorie che sostiene il professionista. A questo proposito, un'indagine condotta dall'Università Bocconi di Milano, su incarico dell'ANDI, aveva stabilito che sulla singola fattura dell'odontoiatra, il 60% è dovuto ai costi del materiale e alle spese di gestione dello studio e il 40% è il guadagno. E' chiaro che se si riesce a dividere le spese tra più professionisti associati, la parcella finale può scendere.
"Ma i dentisti italiani sono poco inclini all'associazionismo" dice Umberto Verderone. Verderone è il promotore di un'associazione di pazienti-consumatori che si chiama Dentitalia AIPD (Associazione Italiana per le Protesi Dentarie e la cura dei denti). Lo scopo dell'associazione è far sì che i pazienti italiani possano trovare cure dentarie a buon prezzo, anzi "al giusto prezzo" dice Verderone "cioè quello stabilito dal Ministero della Salute come prezzo minimo". Infatti, nel definire le prestazioni che il Servizio Sanitario eroga, il Ministero predispone anche un nomenclatore tariffario ufficiale, che è la base sulla quale le stesse Regioni "pagano" gli ospedali. In questo tariffario, per fare un esempio, una corona in oro e resina (la capsula come si dice comunemente) ha una tariffazione minima di 197 euro. Un prezzo, per inciso, che non si è tanto abituati a sentire. Che cosa fa in pratica Dentitalia AIPD? "Diamo indicazioni e informazioni ai pazienti per trovare medici che applicano questa tariffa. L'associazione non ha dentisti convenzionati e non dà prestazioni - sia chiaro - è un'organizzazione senza scopo di lucro che si limita a fornire informazioni". Nata nel 1996, l'Associazione che ha sede a Torino funziona per le aree del capoluogo piemontese e di Genova ma dall'anno prossimo opererà anche su Milano.

Soluzioni possibili? Qualcuna

Per ridurre la spesa delle famiglie sarebbe il caso, come suggerisce l'esperienza di Dentitalia, di chiedere più preventivi, come per l'imbiancatura della casa. L'altra possibilità sarà costituita, si spera, dai Fondi Sanitari Integrativi che quando diverranno operativi potranno prevedere la copertura di queste spese. Però, al di là della copertura della spesa c'è forse ancora un ritardo culturale. Infatti, in Germania la media di visite odontoiatriche annue è di 1,4 a persona, in Olanda 2,1, in Giappone 2,9. Il risultato è che gli italiani hanno un numero di carie 1,5 volte superiore alla media europea. In altre parole, serve più prevenzione: meglio pagare una visita in più e magari un'otturazione in più, che dover poi ricorrere a prestazioni più costose.

Maurizio Imperiali



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