Cuore, sempre più piccolo e potente

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Cuore, sempre più piccolo e potente



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Quando si parla di trapianti di cuore sono due gli aspetti che per primi vengono alla mente: la morte e la rinascita. Grazie ai numerosi successi in campo tecnologico-sanitario, però, oggi è possibile pensare a un impianto (temporaneo) senza necessariamente considerare il decesso di una persona, bensì stimando solo il miglioramento della vita di un altro paziente. Tutto questo grazie al cuore artificiale, un apparecchio sofisticato in grado di "rimpiazzare" per un determinato periodo di tempo un cuore naturale seriamente danneggiato e ormai inguaribile. In un prossimo futuro, forse, la ricerca arriverà persino a realizzare un cuore artificiale in grado di sostituire definitivamente un cuore naturale. In realtà, oggi per "cuore artificiale" si intende un qualsiasi dispositivo realizzato dall'uomo che aiuti il cuore di un paziente malato, sostituendo l'organo anche solo parzialmente, come nel caso del dispositivo LVAD (Left Ventricular Assist Device), del RVAD (Right Ventricular Assist Device), del BIVAD (BI-Ventricular Assist Device) e del IABP (Intra Aortic Ballon Pump). Qui, però, si parlerà "solo" della storia, dei successi e dei problemi incontrati nella lunga vicenda (tuttora in corso) della realizzazione di un cuore funzionante e definitivo totalmente artificiale (TAH, da Total Artificial Heart).

Quando


I disturbi cardiaci che più di frequente necessitano di un trapianto cardiaco o di un cuore artificiale sono principalmente quattro:
  • disfunzione cardiaca grave;
  • aterosclerosi coronarica non operabile (grave sviluppo di placche nella coronarie);
  • precedenti interventi cardiaci;
  • esiti gravi dopo un intervento cardiaco.
Le cause di tutti i disturbi sopra descritti possono riguardare: cardiomiopatie postischemiche, cardiomiopatie dilatatative primitive (caratterizzate da ingrandimento ventricolare e da disfunzione sistolica, che determina la comparsa di sintomi da insufficienza cardiaca congestizia) cardiomiopatie associate a vulvopatie, malattie infiammatorie del miocardio, cardiomiopatie secondarie (endocrinopatie, cause tossiche e metaboliche) o cardiomiopatie ipertrofiche (alterato sviluppo del miocardio con ipertrofia globale, caratterizzata da frequenti alterazioni del ritmo ed evoluzione progressiva verso l'insufficienza cardiaca).

Come funziona


Per descrivere il cuore e le sue funzioni molto spesso si è soliti paragonarlo ad una pompa; non a caso, infatti, l'elemento principale del cuore artificiale è rappresentato proprio da una POMPA, che dal punto di vista strettamente concettuale indica "una macchina idraulica operatrice, che fornisce energia ad un liquido al fine di trasferirlo da un punto a un altro, aumentando l'energia di pressione del liquido stesso". Se finalizzate ad un utilizzo medico, le pompe di un cuore artificiale possono essere di 3 tipi:

a) pompe rotatorie

Composte da un solo componente fisso (statore) e un solo elemento mobile(rotore), che può essere alimentato da un campo magnetico (es. pompa Biomedicus e pompa Sarns).
  • Vantaggi: assenza di valvole e diaframma; molto affidabili; non troppo voluminose.
  • Svantaggi: rischio di emolisi (distruzione dei globuli rossi) a causa dei materiali utilizzati e per problemi emodinamici, che aumentano anche il rischio di trombi; inoltre il costo di questi apparecchi è molto elevato.

b) pompe peristaltiche

sono pompe di tipo volumetrico, che agiscono trasferendo energia meccanica al liquido (in questo caso al sangue), esercitando una forza sul liquido stesso mediante una superficie in movimento. Possono essere di due tipi: a rullino o a dito con camera d'aria. Le prime, in particolare, sono caratterizzate da un tubo flessibile contornato da rullini rotanti che, schiacciando il tubo, riescono a spingere il sangue contenuto nel tubo stesso (che, pertanto, deve essere molto flessibile). In ogni caso, le pompe peristaltiche si avvalgono sempre di camere a volume ciclicamente variabile entro le quali il liquido subisce l'aumento di energia (solitamente sono utilizzate in dialisi).

Oltre alla pompa, sono tre gli altri elementi necessari al funzionamento di un cuore artificiale:
  • l'unità di comando (interna e/o esterna): un sistema elettronico che serve a controllare la modalità di pompaggio, eventualmente programmabile dall'esterno; negli apparecchi più recenti, l'unità di comando è in grado di regolare l'attività della pompa in base all'attività fisica del paziente per mezzo di continui monitoraggi attraverso, per esempio, l'ECG (elettrocardiogramma);
  • il convertitore di energia: un congegno in grado di convertire la forma di energia erogata dalla particolare alimentazione del dispositivo usato (energia elettrica, meccanica, nucleare, ...) in energia spesa per il pompaggio;
  • l'alimentatore: un apparecchio che fornisce l'energia (in una delle forme sopra citate) necessaria al pompaggio; in genere l'alimentatore è posizionato fuori dal corpo e il trasferimento di energia al dispositivo impiantato è di tipo pneumatico, meccanico, con fili elettrici o per mezzo di un trasformatore.

c) pompe a diaframma

dette anche "a sacco", le pompe a diaframma appartengono alla classe delle pompe volumetriche. Esse, infatti, agiscono grazie alla spinta generata dalla variazione di volume in un'opportuna camera ottenuta tramite un pistone o per mezzo della spinta esercitata da aria o da un fluido sul diaframma, che delimita la zona di contenimento del fluido da spingere.
  • Vantaggi: non richiede giunzioni e ha un basso rischio di emolisi.
  • Svantaggi: richiede l'uso di valvole, generalmente realizzate in carbonio pirolitico (materiale biocompatibile); inoltre, è un sistema molto complesso e, quindi, anche molto costoso.

Il primo caso

La data del primo caso di impianto di cuore artificiale (TAH) risale al 1957, quando Tetsuzo Akutsu e Willem Kolff sostituirono completamente il cuore di un cane con un cuore meccanico; l'animale, però, rimase in vita per soli 90 minuti. Per quanto riguarda l'uomo, invece, il primo impianto di cuore artificiale risale al 1969 e poi al 1982 presso l'Università dello Utah, dove un modello di cuore artificiale pneumatico (Jarvik-7) venne impiantato a Barney Clark, un paziente affetto da cardiomiopatia all'ultimo stadio. Clark sopravvisse 112 giorni dall'operazione; questo perché i primi modelli di cuore "sintetico" richiedevano una serie di collegamenti tramite tubi ad apparecchi esterni, che aumentavano notevolmente il rischio di infezioni e di coaguli. Dal modello di Jarvik-7 si passò, poi, al più sofisticato Jarvik-100, che riduce notevolmente il rischio di trombi e ha forma ellittica per facilitare l'adattabilità alla cavità del pericardio. Il Jarvik-100 venne testato su 31 cavie (di cui 3 pecore) dal 1981 al 1991; il tempo medio di sopravvivenza risultò di 78 giorni e 14 animali riuscirono a sopravvivere per oltre 60 giorni. Nonostante l'aumento della probabilità di sopravvivenza, però, anche con il Jarvik-100 rimane alto il rischio di infezioni dovute alla fuoriuscita di cavi dalla cavità addominale. Il dispositivo, pertanto, può rappresentare un sicuro ed efficace congegno per uso provvisorio in attesa di un trapianto di cuore, ma la realizzazione di un dispositivo permanente è ancora un obiettivo da raggiungere. Questo per diversi motivi: innanzitutto ci sono ancora molti problemi irrisolti inerenti la biocompatibilità dei materiali e la trombogenicità dovuta alla dinamica del flusso sanguigno (a seconda del flusso, infatti, un stesso dispositivo può risultare più o meno compatibile); inoltre, la complessità della fisiologia cardiovascolare rende praticamente impossibile la realizzazione di un modello perfetto. Non esiste cuore artificiale, infatti, che possa riprodurre le complesse interazioni esistenti tra organismo e cuore naturale, che contribuiscono influenzare e regolare l'equilibrio dell'intero organismo. Anche il prototipo più recente e sofisticato (descritto in seguito), nonostante possa rimanere impiantato a lungo, presenta ancora l'ostacolo della breve durata delle batterie (non superiore a 2 anni) e della scarsa affidabilità tecnica, per l'elevato rischio di rottura nel tempo dei componenti meccanici.

L'ultima scoperta

Nel luglio 2001 negli Stati Uniti è stato impiantato per la prima volta un cuore artificiale senza collegamenti esterni. L'intervento è avvenuto martedì 3 luglio a cura di un'équipe di cardiochirurghi della University of Louisville nell'ospedale ebraico di Louisville (Stati Uniti). L'evento è sicuramente uno dei più straordinari in campo medico-scientifico. Per la prima volta, infatti, a un uomo è stato inserito un cuore artificiale che funziona autonomamente nel al corpo. Il dispositivo prende il nome di "AbioCor" ed è stato progettato dalla Abiomed di Danvers (Massachusetts), che nel gennaio 2001 ha ottenuto l'autorizzazione dalla Food and Drug Administration (FDA) di sperimentare il progetto su 5 pazienti. AbioCor è realizzato in titanio e plastica, pesa un chilo ed è poco più grande di un'arancia. E' alimentato da una batteria che si fissa alla cintura e che va ricaricata collegandola alla rete ogni mezz'ora. L'unico cavo presente è quello che attraversa la pelle e che collega la batteria al cuore. E' evidente, quindi, che con questo nuovo dispositivo si è fatto un enorme passo avanti nella cura dei malati di cuore in fin di vita. AbioCor, infatti, rispetto agli altri dispositivi utilizzati sino ad oggi, non prevede la fuoriuscita di fili attraverso il torace e, pertanto, non espone il paziente al rischio di possibili infezioni. La batteria esterna è in grado di inviare energia all'organo artificiale interno tramite elettrodi applicati direttamente sulla pelle, simili a quelli utilizzati dal medico per fare un elettrocardiogramma. Sulla batteria, poi, è inserito un dispositivo di controllo, che permette di regolare la potenza del dispositivo, il quale, comunque, è stato concepito in modo da variare automaticamente la pressione interna a seconda del tipo di sforzo fisico in atto.
Come per i precedenti cuori artificiali, anche l'AbioCor al momento ha il solo scopo di fornire la possibilità ad un paziente in gravi condizioni fisiche di migliorare la propria qualità di vita, nell'attesa di ricevere un vero e proprio trapianto di cuore. "Con questo innovativo apparecchio" spiegano, infatti, i ricercatori "si stima che un paziente con gravi patologie cardiovascolari in attesa di trapianto possa aumentare la propria aspettativa di vita di almeno 2 mesi". Se i risultati di questa sperimentazione (la prima delle 5 approvate dalla FDA) darà i risultati sperati, l'ente federale potrebbe estendere l'indagine ad altri 15 pazienti.

Annapaola Medina



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