Cuori troppo palpitanti

12 luglio 2010
Aggiornamenti e focus

Cuori troppo palpitanti



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di Simona Zazzetta

Quando la coordinazione di impulsi elettrici e contrazioni muscolari del cuore perde efficienza, il battito segue un ritmo irregolare, clinicamente chiamato aritmia. La maggior parte delle aritmie non è pericolosa, ma nel caso della fibrillazione atriale, una delle tante forme di aritmia, lo diventa, poiché, quando il cuore smette di pompare in modo regolare, il sangue che resta più a lungo nelle cavità cardiache rischia maggiormente di formare coaguli, che una volta liberati nel circolo sanguigno possono raggiungere il cervello e portare a ictus.

Nel caso della fibrillazione atriale, questa circostanza può accadere con maggiore probabilità, poiché viene a mancare un'efficace contrazione degli atri, le camere cardiache della parte superiore del cuore (in cui entra ed esce il sangue), che restano praticamente immobili: sono elettricamente attivati, quindi vibrano, ma non si contraggono, e progressivamente si dilatano. Riconoscere, in modo specifico, che è in atto una fibrillazione atriale non è semplice, ma avvertire il polso irregolare e battito accelerato è già un buon motivo per rivolgersi a un medico perchè con un semplice elettrocardiogramma la diagnosi è certa: l'assenza dell'onda P nel tracciato del battito cardiaco è segno inconfutabile di questa condizione. Per quanto sia molto comune l'assenza di sintomi, alcuni segni che devono sollevare sospetti: affaticamento, mancanza di respiro durante gli sforzi e, in casi eccezionali, perdita di conoscenza (sincope) è ciò che accade nei pazienti in cui l'aritmia porta a un'alterazione più marcata del battito cardiaco. Nelle persone asintomatiche, nonostante l'aritmia in corso, i battiti cardiaci non sono troppo lenti né troppo veloci, è possibile che non si avverta alcun fastidio. In questi casi, il medico o lo stesso paziente possono rendersi conto della fibrillazione atriale solo per caso, avvertendo l'irregolarità dei battiti al polso.

La fibrillazione atriale può comparire sia in un paziente già cardiopatico sia in un soggetto dal cuore sano, infatti, i dati di incidenza e prevalenza sono sfavorevoli nelle fasce di età più avanzata, sopra i 65 e dopo gli 80 anni, ma già a 40 anni inizia a innalzarsi il rischio. In base alla frequenza degli episodi si parla di una forma parossistica, quando gli episodi sono ricorrenti e si autolimitano, risolvendosi spontaneamente entro 7 giorni, generalmente in 48 ore. Se gli episodi non si autorisolvono, si tratta di una forma persistente che richiede il ripristino del ritmo mediante somministrazione di farmaci o di impulsi elettrici. Nel caso in cui non fosse più possibile ripristinare il ritmo, la fibrillazione diventa permanente. Purtroppo il disturbo, generalmente progredisce, per cui il paziente può andare incontro a diversi episodi di fibrillazione atriale parossistica che poi evolve in persistente. In ogni caso, la malattia tende a cronicizzare: più di tre quarti dei pazienti passano, in circa 14 anni, dalla forma parossistica a quella permanente. L'evoluzione e le complicazioni della fibrillazione atriale saranno tanto maggiori quanto più compromessa è la condizione del paziente, per esempio se c'è già uno scompenso cardiaco. Secondo gli esperti, questa aritmia è stata a lungo sottovalutata in passato, ma della quale si stanno recentemente chiarendo le gravi implicazioni cliniche. Lo sviluppo di tecniche chirurgiche e lo studio di nuovi farmaci antiaritmici sono attualmente motivo di grande interesse medico-scientifico, ma molti pazienti non sono a conoscenza della reale importanza del problema, e soprattutto delle moderne possibilità terapeutiche.



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