Cuore a rischio nei bambini, prima regola è la dieta

23 marzo 2012
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Cuore a rischio nei bambini, prima regola è la dieta



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La prevenzione delle malattie cardiovascolari dovrebbe cominciare con uno screening molto precoce, già tra i 9 e gli 11 anni. A questa conclusione è giunto un documento statunitense sulla riduzione del rischio cardiovascolare nell'infanzia e nell'adolescenza pubblicato su Pediatrics dal National Heart, Lung and Blood Institute di Bethesda. Un testo che ha dato adito immediatamente a una discussione nella comunità scientifica sull'opportunità di iniziare a effettuare screening già a un'età così bassa. In Italia, nel frattempo è stato pubblicato il primo documento di consenso sulla prevenzione cardiovascolare nei bambini e negli adolescenti, un documento redatto dalla Siprec (Società italiana per la prevenzione cardiovascolare) in collaborazione con la Sip (Società italiana di pediatria), che si allinea alla tendenza americana, suggerendo di sottoporre i bambini già all'età di due anni a un'analisi del sangue per misurare colesterolo totale, Hdl e trigliceridi. Ma a chi è veramente indirizzata una prevenzione cardiovascolare così precoce?

«L'aspetto fondamentale» spiega Ornella Guardamagna, docente di Pediatria all'Università di Torino e coordinatrice del documento «è quello della familiarità. Gli elevati livelli di colesterolo nel sangue dei bambini possono, infatti, dipendere da una predisposizione genetica, ancor più a seguito di uno stile di vita sbagliato, e non necessariamente si associano a sovrappeso e obesità». Si sta parlando, secondo i numeri forniti al Congresso Siprec, di 250 mila bambini in Italia, di cui oltre centomila con iperlipidemie familiari. «Il colesterolo è il primo target» specifica la professoressa «non è così automatico, infatti, che una condizione di sovrappeso o obesità possa portare a successivi episodi di infarto. Perciò l'ideale è concentrarsi sui soggetti che hanno ipercolesterolemia con familiarità e su questi pensare a una prevenzione con misure che riguardano essenzialmente lo stile di vita». In pratica si tratta di verificare se esiste una storia familiare di iperlipidemia o eventi cardiovascolari precoci e a quel punto sta allo specialista ricavare se ci sono elementi importanti per un sospetto clinico e diagnostico e quindi valutare se effettuare un'indagine. «A quel punto prima si fa meglio è» secondo la pediatra torinese. Secondo molti esperti statunitensi però, l'ampliamento dello screening comporterebbe il rischio di test ripetuti e falsi positivi oltreché di costi sanitari più elevati. «Il rischio di falsi positivi esiste» secondo la Guardamagna «ma non è così rilevante. Quanto ai test ripetuti o a un eventuale rischio di ipermedicalizzazione, tutto sta nella competenza dell'operatore. L'ipermedicalizzazione» precisa la pediatra torinese «è da evitare assolutamente e l'intervento, che essenzialmente riguarda lo stile di vita, va effettuato solo sul bambino che ha un problema molto serio. Certo permane un grosso punto interrogativo che solo il tempo potrà eliminare. I bambini trattati avranno giovamento nel corso del tempo, a distanza di 40-50 anni?».

È proprio a partire da un interrogativo di questo tipo che Maurizio Bonati, Direttore del Dipartimento di Salute Pubblica del "Mario Negri" di Milano ritiene che difficilmente si possa arrivare a un'applicazione diffusa di uno screening di questo tipo «esistono screening neonatali che, pur legittimati anche a livello legislativo, ancora non hanno trovato piena applicazione. Si tratta di discussioni cicliche che seguono molto l'"onda" della letteratura e del dibattito statunitense. Discussioni importanti dal punto di vista clinico e per il singolo paziente» specifica l'epidemiologo «ma che poi si trovano a dover fronteggiare l'aspetto economico e la difficile sostenibilità». Bonati è perplesso sull'opportunità di affrontare uno screening di questo tipo generalizzato che «implica uno spostamento considerevole di risorse. Oltretutto rispetto a un problema che probabilmente riguarda più gli Stati Uniti che il nostro paese». La risposta, secondo il ricercatore del Negri sta «in una dieta corretta e in un'alimentazione mirata su tutti. E quindi in una regola di buon senso». Un atteggiamento che trova d'accordo anche la docente di pediatria torinese che precisa come «le buone regole di prevenzione che elenchiamo nel nostro documento valgono in realtà per tutti i bambini e i ragazzi. Fondamentale è che i bambini, già da due anni seguano una dieta sana ed equilibrata come quella mediterranea, in cui i grassi totali non superino il 30% delle calorie giornaliere e il colesterolo introdotto non oltrepassi i 200 milligrammi equivalenti a un uovo, un etto di carne o 200 grammi di latte. Purtroppo» aggiunge la Guardamagna «sappiamo che l'80% dei bambini in età scolare commette errori nutrizionali: saltare spesso la prima colazione, dieta monotona, consumare pasti nutrizionalmente inadeguati, intervallati da numerosi spuntini». In più c'è l'aspetto del movimento «gli under 14 dovrebbero dedicare come minimo un'ora al giorno al gioco all'aperto, a camminate o pedalate in bicicletta».

Marco Malagutti



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