Quello stent c'è solo finché serve

15 giugno 2007
Aggiornamenti e focus

Quello stent c'è solo finché serve



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Non c'è cosa che, entro certi limiti, non si possa migliorare. E' il caso dell'angioplastica, cioè la ricanalizzazione delle arterie, in specie coronarie, ostruite da trombi o soggette a stenosi, mediante l'arcinoto palloncino. E infatti di miglioramenti se ne sono registrati parecchi, grandi e piccoli. Tra i più significativi vi è l'uso dello stent, un tubicino metallico che, inserito nel punto in cui era presente l'ostruzione, impedisce che l'arteria dilatata collassi su se stessa riproducendo l'ostruzione. Un vantaggio non da poco, che fu ulteriormente aumentato con l'arrivo degli stent a rilascio di farmaco. Pur mantenendo forma e funzione, questi stent provvedono anche a rilasciare nel tempo sostanze che contrastano i meccanismi che conducono all'occlusione (rapamicina, sirolimus). Così come è concepito oggi, il sistema è efficace nell'impedire la riocclusione a breve-medio termine, sia quando si cura una lesione nuova sia quando si interviene su una restenosi successiva a una prima dilatazione,e nell'impedire la dissezione del vaso. Ma non basta: l'applicazione dello stent ha reso anche più longevi i by-pass coronarici eseguiti con innesti di tratti di safene. Ci si poteva fermare qui? No, perché anche lo stent presenta qualche inconveniente. Gli studi hanno sollevato alcuni dubbi riguardo alla mobilità del vaso e alla risposta endoteliale che risulta soppressa o alterata nel tratto interessato dallo stent e nei segmenti adiacenti. Senza contare le possibilità di reazioni da ipersensibilità e la formazione di trombi "in stent".

Una lega che sparisce


Per risolvere questi possibili inconvenienti (che sia chiaro, sono tutti meno gravi dell'incidente che si va a rimediare con l'angioplastica), un gruppo tedesco ha collaudato un particolare tipo di stent che si riassorbe nel giro di qualche tempo. Si tratta di un elemento che presenta una struttura reticolare in lega di magnesio. Le ricerche condotte nelle cavie hanno mostrato che nell'arco di due mesi lo stent viene interamente riassorbito nell'endotelio, con fenomeni infiammatori e di proliferazione dell'intima (lo strato intermedio della parete del vaso) molto contenuti. Ma appunto, qui si trattava di cavie. Per la sperimentazione nell'uomo sono stati scelti 63 pazienti che soffrivano di ischemia coronarica con stenosi localizzate in vasi di diametro compreso tra e 3,5 mm con lesioni lunghe fino a 13 mm, con diametro della stenosi compreso tra il 50 e il 99% del diametro del vaso. Lo studio si focalizzava sugli incidenti cardiovascolari (infarti fatali e non fatali) verificatisi dopo l'intervento e sul numero di reinterventi, motivati da ragioni cliniche, cioè sintomi o trombi o una restenosi rivelata dall'angiografia superiore al 70%, entro 4 mesi dal posizionamento dello stent.

Bene, ma si può migliorare


I risultati sono stati promettenti: la struttura riassorbibile offre un sostegno adeguato all'arteria dilatata, il materiale viene riassorbito senza difficoltà e la proliferazione dell'intima, che riduce il lume dell'arteria, è risultata contenuta come negli studi sulle cavie. Inoltre, nell'arco di un anno non si sono verificate trombosi all'interno dello stent. Certamente, i reinterventi sono stati più frequenti, nel 45% dei casi entro l'anno, rispetto agli stent metallici (28%) e di quelli a rilascio di farmaco(6%). Però il meccanismo che più spesso ha determinato la riocclusione (il collasso della parete) fa pensare che tutto sommato perfezionando il dispositivo si potrebbe ottenere un risultato pari almeno a quello degli stent metallici, con il vantaggio, che è attualmente indagato da un altro studio, di migliorare la mobilità del vaso. Insomma, per ora lo stent riassorbibile è sicuro ed efficace nel breve periodo, potrà essere migliorato e quanto ai vantaggi a lungo termine si avrà tra breve una risposta.

Maurizio Imperiali



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