Anziani e poveri, meglio a casa

20 dicembre 2007
Aggiornamenti e focus

Anziani e poveri, meglio a casa



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Una delle soluzioni prospettate per migliorare l'assistenza sanitaria di alcune fasce della popolazione è il ricorso all'assistenza domiciliare integrata. In caso di pazienti incapacitati a muoversi liberamente, sia per ragioni di gravità della malattia sia per ragioni di età, è possibile far sì che diversi operatori sanitari, si coordinino per tenere sotto controllo il paziente. Scopo di questi schemi è senz'altro il benessere del paziente, ma anche il miglioramento delle condizioni di salute e, immancabilmente, la riduzione delle prestazioni di secondo livello più costose. In particolare, visite al pronto soccorso, numero di ricoveri e giornate di degenza. Se siano o meno risultati raggiungibili lo ha valutato una ricerca con tutti crismi, statunitense, dedicata a una popolazione molto particolare: gli anziani con basso reddito. Quest'ultimo, per chiarezza, era definito come un reddito inferiore al doppio della soglia di povertà fissata a livello federale.

Un'équipe completa


Così, sono stati coinvolti 951 anziani, quindi ultrasessantacinquenni, con queste caratteristiche; metà è stata affidata all'assistenza domiciliare integrata e metà trattata nel modo consueto. Lo studio è durato due anni, e le condizioni del paziente venivano controllate, oltre ovviamente che da medici e infermieri, da intervistatori che usavano questionari approvati per il controllo di svariate condizioni, dalla depressione al giudizio che ciascuno esprimeva sulla sua salute complessiva. Per meglio collocare le conclusioni raggiunte, è utile specificare che equipe dell'assistenza domiciliare comprendeva: infermiere specializzato e assistente sociale, medico di famiglia e specialisti richiesti nei singoli casi. Inoltre, per ciascun paziente si teneva una cartella clinica unificata (ovviamente su supporto informatico) e comunque era stato disposto un sito Internet in cui i diversi operatori potevano trovare traccia di tutte le prestazioni ricevute dai pazienti loro affidati.

I più fragili hanno maggiori benefici


Lo studio è durato due anni, con valutazioni esterne ogni 6 mesi. I risultati non sono stati strabilianti: i pazienti affidati all'équipe mostravano un miglioramento nel punteggio dei questionari in 4 aree (salute generale, vitalità, funzionamento sociale e salute mentale) ma non tali da indicare un miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti. Vi era anche una riduzione delle visite al pronto soccorso non seguite da ricovero, ma non cambiava nulla, tra i due gruppi, in fatto di ricoveri e di giornate di degenza. In particolare, nelle conclusioni gli autori si soffermano sul fatto che non si mostrassero variazioni a proposito del declino nella capacità di svolgere le normali mansioni quotidiane. In parte si rispondono dicendo che anche nel gruppo curato nel modo tradizionale si era verificato un peggioramento contenuto, quindi è possibile che la selezione di un campione non troppo compromesso abbi attenuato l'effetto delle nuove modalità di assistenza. Peraltro, se si limita l'analisi statistica soltanto al gruppo di anziani più fargili, i vantaggi emergevano in modo più netto, visto che si riducevano anche i ricoveri, oltre agli accessi al pronto soccorso. In definitiva, ce n'è abbastanza per giudicare positiva l'esperienza. Resta l'incognita dei costi: allestire un'équipe geriatria come quelle impiegate qui, impegna risorse significative. Certo se i ricoveri risparmiati coprissero la spesa, il discorso si farebbe interessante anche per l'assicurazione statale pubblica e le molte private degli Stati Uniti. Non c'è niente di male a fare valutazioni economiche in Sanità, purché si facciano bene e non sparando nel mucchio come spesso accade in Italia.

Maurizio Imperiali



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