L'età fa la differenza

28 febbraio 2003
Aggiornamenti e focus

L'età fa la differenza



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In Italia, come nella maggior parte dei Paesi industrializzati, l'ictus rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, nonché la principale causa di invalidità nelle comunità occidentali, con un tasso di invalidità grave del 15% e lieve del 40% a un anno dal primo evento ischemico.
In tutti gli studi condotti sull'argomento, è emerso evidente un crescere del rischio di ictus in proporzione all'avanzare dell'età media della popolazione analizzata. In particolare, da uno studio del 1996 l'incidenza della malattia in Italia sembra essere pari a 1.960 ogni 100.000 abitanti nella popolazione tra i 60 e i 69 anni d'età e pari a 4.978 ogni 100.000 abitanti nella popolazione tra i 70 e i 79 anni. Più in generale, il tasso di prevalenza dell'ictus nella popolazione anziana italiana sarebbe pari a 6,5%, con una lieve prevalenza nei soggetti maschi (7,4%), rispetto alle femmine (5,9%). Dati, questi, che emergono da un altro studio (studio ILSA), i cui dati sono riassunti nella seguente tabella.
Da questo e molti altri studi risulterebbe, pertanto, che il 75% dei casi di ictus interesserebbe la popolazione dai 65 anni d'età in poi. In particolare, da un'indagine pubblicata sul Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry , negli over 80 l'incidenza di ictus raggiungerebbe il 24,23%, con una prevalenza maschile (28,25%), rispetto a quella femminile (21,79%).
Ogni anno vi sarebbero oltre 186.000 nuovi casi di ictus in Italia, di cui il 20% circa muore entro il primo mese successivo all'evento, mentre il 30% dei sopravvissuti si ritrova con esiti gravemente invalidanti. Ipotizzando un'incidenzacostante, nel 2008 il numero di nuovi casi di ictus è destinato ad aumentare fino a oltre 206.000 all'anno.

Ischemico o emorragico?


A seconda del tipo di ictus a cui ci si riferisce, variano notevolmente i tassi di incidenza. In particolare, la frequenza relativa all'ictus ischemico sarebbe pari, circa, all'85%, mentre quella relativa all'ictus di tipo emorragico interesserebbe solo il 15%. In particolare, i casi di ictus ischemico avrebbero nel 16-20% dei casi una natura cardioembolica e in tutti gli altri casi una natura trombotica, mentre i secondi (emorragici) interesserebbero un'emorragia intracerebrale spontanea o primitiva nel 10% dei casi e un'emorragia subaracnoidea nel restante 90% dei casi.

I fattori di rischio secondo l'American Heart Association


I fattori di rischio dell'ictus possono essere distinti in 3 gruppi:
  • Fattori di rischio non modificabili: età, sesso, ereditarietà e fattori familiari, razza/etnia, localizzazione geografica.
  • Fattori di rischio modificabili ben documentati: cardiopatie (fibrillazione atriale, endocardite infettiva, stenosi mitralica e infarto miocardio esteso e recente), fumo di sigaretta, attacchi ischemici transitori (TIA), stenosi carotidea asintomatica, diabete mellito, iperomocisteinemia, ipertrofia ventricolare sinistra.
  • Fattori di rischio modificabili non completamente documentati: livelli ematici elevati di colesterolo e di lipidi, cardiopatie (cardiomiopatia, endocardite batterica, calcificazione dell'anello mitralico, prolasso valvolare mitralico, valve strands, ecocardiocontrasto spontaneo, anomalie della motilità parietale segmentarla, stenosi aortica, forame ovale pervio e aneurisma del setto interatriale), uso di contraccettivi orali, consumo di alcol, uso di droghe, inattività fisica, obesità, emicrania, ematocrito elevato, fattori alimentari, iperinsulinemia e resistenza all'insulina, fattori scatenanti acuti (stress), fattori dell'emostasi e infiammazione (formazione della fibrina e fibrinolisi, fibrinogeno, anticorpi anticardiolipina, cause acquisite e geneticamente determinate), patologie subcliniche (ispessimento medio-intimale della carotide, placche aortiche e lesioni infarct-like alla Risonanza Magnetica), fattori socio-economici, clima.
L'ipertensione arteriosa è indubbiamente uno dei più importanti fattori di rischio per l'ictus. Basti pensare che la prevalenza di ipertensione nella popolazione italiana tra i 65 e gli 84 anni d'età è superiore al 60%.Tra le varie forme di ipertensione, quella che sembra esporre maggiormente al rischio di ictus è l'ipertensione sistolica isolata.
Per quanto riguarda le cardiopatie, l'incidenza di ictus aumenterebbe dell'1-2% all'anno dopo un infarto miocardico. Dati epidemiologici riguardo la fibrillazione atriale, invece, indicano la fibrillazione come responsabile dell'85% dei casi di ictus dovuti ad aritmie cardiache. In particolare, il rischio di ictus legato a fibrillazione atriale non sarebbe sempre uguale, ma aumenterebbe in presenza di altre patologie, tra cui: la stenosi mitralica (40%), l'ipertensione arteriosa (11-22%), la cardiopatia ischemica acuta (11-18%) e cronica (<2%) e la cardiomiopatia dilatativa (25%).
Riguardo al rischio di ictus legato al fumo di sigaretta, l'incidenza sembra variare a seconda dell'età, con una minor prevalenza nelle persone anziane. Non sembrano esservi differenze di rischio, invece, tra fumatori e fumatrici. Il rischio tende a calare se si smette di fumare.
Per il rischio associato a diabete mellito, numerosi studi hanno evidenziato chiaramente un aumento dell'incidenza di ictus nella popolazione colpita da questa malattia. Più precisamente, il rischio di ictus nel paziente diabetico risulterebbe 4 volte più alto rispetto a quello dei soggetti sani. Ciò, secondo gli esperti, potrebbe dipendere, oltre che dalle malattie spesso associate al diabete come l'ipertensione arteriosa, la dislipidemia e l'obesità, anche da una serie di anomalie coagulative tipiche del paziente diabetico, tali da far considerare questa malattia come uno stato di ipercoagulabilità.
Attualmente, invece, non esistono ancora studi certi su una possibile correlazione tra livelli elevati di colesterolo (dislipidemia) e aumentato rischio di ictus. Tuttavia, è possibile che un aumento dei livelli di colesterolo LDL (noto anche come "colesterolo cattivo") possa influenzare l'insorgenza dell'ictus in modo indiretto. E' ormai certo, infatti, che esiste una correlazione diretta tra aumento del colesterolo LDL, con contemporanea diminuzione del colesterolo HDL, e un aumento dell'aterosclerosi delle arterie carotidi extracraniche, disturbo che, a sua volta, aumenterebbe il rischio di ischemia cerebrale.
Ormai certa è anche la correlazione tra rischio di ictus e grado di stenosi carotidea in soggetti asintomatici. In particolare, il rischio di ictus per una stenosi asintomatica del 70% sarebbe pari a circa il 3% l'anno.
Il rischio di ictus legato al consumo di alcol, infine, risulterebbe di ben tre volte superiore rispetto alla norma nei bevitori che superano le sette unità di alcol giornaliere (1 unità corrisponde a una lattina di birra o a un bicchiere di vino). Al contrario, sembrerebbe esserci un rischio notevolmente ridotto nei soggetti che consumano moderate quantità di alcolici (circa 3 bicchieri di vino alla settimana). In particolare, bere non più di due unità giornaliere di alcol conferirebbe persino un "effetto protettivo" nei confronti dell'ictus, come già dimostrato per la malattia coronarica.

Annapaola Medina



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