Fiato sospeso cuore in pericolo

18 novembre 2005
Aggiornamenti e focus

Fiato sospeso cuore in pericolo



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Il bello della ricerca scientifica e della scienza in generale è che un'ipotesi o un modello restano validi finché non si dimostra qualcosa di diverso da ciò che affermano. E anche in medicina il principio resta valido e quando i conti non tornano sulla base delle premesse può emergere uno spunto di riflessione interessante che apre nuove prospettive.E' più o meno questo quanto è accaduto nello studio delle apnee notturne e del loro ruolo nella patogenesi delle malattie cardiovascolari e cerebrovascolari. Finora sono state considerate come un fattore di rischio, forte e indipendente, per queste patologie ma ora si solleva il dubbio sul loro peso nell'evoluzione di eventi fatali.

Poca aria meno ossigeno


Sono stati studiati due casi di apnea, una ostruttiva, l'altra centrale. Sono entrambe legate al sonno ma mentre la prima dipende dalla chiusura delle vie respiratorie alte, l'altra è provocata dall'assenza del segnale nervoso che controlla i movimenti respiratori. Possono essere coesistenti e anche se cambiano i meccanismi, il risultato è lo stesso, durante la fase di apnea, tra le altre cose, si verificano variazioni emodinamiche e diminuisce la quantità di ossigeno nel sangue e quindi in tutti i tessuti, incluso il cervello.Normalmente, i muscoli della parte alta delle vie respiratorie, a livello della gola per intendersi, durante il sonno si rilassano, ma lasciando lo spazio sufficiente affinché l'aria passi e arrivi ai polmoni e al sangue. Questo spazio in condizioni particolari può diventare più piccolo, per esempio a causa della particolare conformazione del palato, delle dimensioni grandi della lingua o dell'ugola, della presenza di depositi di grasso a livello del collo nei soggetti obesi, del consumo di alcol o di sedativi. Oltre a queste eventualità c'è anche la possibilità, benché rara, di una disfunzione nervosa nel sistema centrale che riduca l'attività dei centri cerebrali che controllano i muscoli respiratori del torace.

Vie interrotte


Sono molti gli studi che sostengono l'associazione tra apnea notturna e eventi fatali cardiocircolatori e cerebrali (ictus) e un'ulteriore conferma arriva da uno studio comparso sul New England. Per altro l'apnea ostruttiva notturna si dimostra un fattore di rischio indipendente da altri fattori, inclusa l'ipertensione. Dei circa mille pazienti inviati a un centro specializzato per eseguire la polisonnografia, il 68% soffriva della sindrome dell'apnea ostruttiva notturna. Nel monitoraggio successivo agli accertamenti, durato circa quattro anni, il rischio relativo di andare incontro a eventi fatali o a ictus era doppio rispetto a chi non aveva ricevuto la diagnosi della sindrome, triplo nei casi peggiori. A questa evidenza, per altro non proprio estendibile alla popolazione generale, in quanto i soggetti inviati alla polisonnografia erano limitati poiché è un esame costoso, si affiancano i risultati di un'altra ricerca che lasciano aperte altre possibilità di interpretazione.

Centri nervosi

In questo caso sono stati considerati casi di apnea centrale in pazienti con scompenso cardiaco, su cui si interveniva terapeuticamente con la ventilazione a pressione positiva continua (CPAP), cioè l'applicazione di una mascherina collegata a un dispositivo che genera una pressione positiva nelle vie aeree. Considerando il disturbo come un fattore di rischio, si voleva dimostrare che risolvendolo il paziente avrebbe avuto benefici in termini di sopravvivenza. Ebbene questo vantaggio non è stato registrato. Per quanto si siano osservati miglioramenti nel quadro clinico come l'aumento dell'ossigenazione notturna e della funzione sistolica ventricolare, nei successivi due anni di monitoraggio non si è verificato un aumento della prospettiva di vita per questi pazienti. Queste osservazioni implicano due considerazioni. In primo luogo la CPAP non è la strategia terapeutica per ridurre la mortalità nei pazienti con lo scompenso cardiaco, anche se soffrono di apnea notturna centrale, al più migliorano la qualità del loro sonno. In secondo luogo i risultati suggeriscono di rivedere la relazione di causa-effetto tra il disturbo notturno e la progressione dello scompenso cardiaco, perché l'ipotesi alternativa è che uno sia un evento secondario che accompagna l'altro senza influire su di esso. Per ora sono solo ipotesi in attesa di conferma o di smentita, ma nel frattempo sono l'occasione per non perdere del tempo utile e affrontare il rischio cardiovascolare anche sotto gli altri aspetti che lo contraddistinguono.

Simona Zazzetta



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